Gianluca Nicoletti, “Figlio di mio figlio”, Strade Blu Mondadori, pp. 238, 18 euro
Il nuovo libro di Gianluca Nicoletti, uscito a marzo per la collana “Strade Blu” di Mondadori, segna un nuovo interessantissimo passo del percorso del giornalista e scrittore nell’universo dell’autismo. Con la scoperta quasi casuale del proprio far parte di quel mondo – Nicoletti, dopo la scherzosa esortazione di una giovane neuropsichiatra si è sottoposto ai test scoprendo così di essere un Asperger, quindi di far parte anche lui dello spettro autistico – si sono aperte nuove prospettive sul forte legame con Tommy, il figlio autistico ormai ventenne protagonista degli altri suoi libri e di un film documentario, “Tommy e gli altri”, che ha acceso la luce sulla condizione di tantissimi giovani che dopo aver compiuto la maggiore età magicamente per lo Stato italiano non sono più affetti da autismo infantile ma si trasformano in pazienti psichiatrici generici.
E’ un libro scritto “finalmente senza preoccuparsi più delle conseguenze”, una sorta di fiume in piena – come del resto lo è anche la verve di Nicoletti, che lo ha presentato in una piovosa serata di fine giugno a “Letture d’estate” a Roma, raccogliendo attorno a sé sotto una tenda di plastica un gruppo di ascoltatori in un’atmosfera quasi “carbonara”. Del resto è sempre difficile parlare di questi temi e nel nostro paese c’è – ora più che mai – aria di rimozione, disinteresse per l’altro, incapacità di confronto con la complessità del mondo dei neurodiversi. E’ qui che il riconoscersi portatore di un gene che rappresenta una linea di continuità con il figlio fa scaturire una nuova consapevolezza, un desiderio ancora più forte di parlare, di confutare le assurde tesi sui vaccini che provocherebbero l’autismo, o sulle ormai celebri “madri frigorifero”, ma anche l’attitudine di quei genitori che preferiscono “angelicizzare” i propri figli “speciali” separandoli dal mondo, considerandoli magari una punizione arrivata da chissà dove, sentendoli comunque “altro da sé”.
Alla luce di questa scoperta tutto il proprio vissuto per Nicoletti diviene improvvisamente più decodificabile: le scelte drastiche nei confronti della propria famiglia, l’uscita dalla Rai dopo essere stato il primo a realizzare il portale web dell’azienda, convincendo un establishment antiquato ad aprirsi alla rete e alle sue infinite potenzialità, le proprie idiosincrasie nei confronti di ciò che per tutto il resto della società appare, se non desiderabile, quantomeno accettabile. Una consapevolezza che diventa fonte di leggerezza anche nei confronti del proprio passato. Conquista non da poco.
Quello dell’autore è però anche uno sguardo ferocemente lucido sulla nostra società: il dilagare inarrestabile di teorie complottiste, di idee balzane sull’origine dell’autismo e non solo, propagate in modo istantaneo e virale grazie ai social, rende il compito dell’intellettuale contemporaneo ancora più arduo. Occorre combattere all’arma bianca contro chi spaccia per buona la fede nel magico diffondendo sfiducia nelle evidenze scientifiche, affermando di poter curare il cancro con acqua e zucchero o l’autismo con la dieta e scagliandosi con odio viscerale contro chiunque osi dissentire.
Nel suo discorrere torrenziale ed eclettico, in questo lavoro che è insieme saggio e autobiografia, pamphlet e riflessione sociologica, Nicoletti non nasconde mai quella che è l’angoscia profonda di ogni genitore di figli autistici: cosa accadrà quando non ci saremo più? I nostri figli diventeranno numeri in un istituto, sedati, privati di quel minimo di qualità della vita che con tanta fatica siamo riusciti a dar loro? “Alla fine qualcosa ci inventeremo”, recitava il titolo di uno dei libri precedenti del 63enne giornalista perugino. Riconoscersi come simili è già un passo verso soluzioni, anche visionarie e provocatorie, come quelle prospettate nel libro. La mente autistica potrebbe essere un nuovo stadio dell’evoluzione umana, libera dalle pastoie dei sentimenti e dei legami familiari e adatta a una comunicazione essenziale come quella della rete? Riguardando il passato dietro di noi, ci rendiamo davvero conto di quanto abbiano contribuito i “cervelli ribelli” all’evoluzione della nostra cultura? Arriverà il giorno in cui non ci si dovrà più sentire clandestini nel mondo dei neurotipici?
Recensione di Ludovica Valori