Domenico Ferraro: Roberto Leydi e il “Sentite buona gente “ . Squi(libri) 2015 548 pagg. con CD Audio e DVD. 32 euro
Dall’ esplosiva febbre liberatoria e libertaria successiva alla fine del secondo conflitto mondiale prese avvio il periodo artistico più intenso della storia del novecento, uno tsunami arrivato fino all’ affacciarsi degli anni ’70 che ha prodotto, tra continue rotture e rappacificazioni dei suoi giovani ideatori, un’enorme quantità di proposte le più disparate, eterogenee, geniali, in tutti i campi della conoscenza e delle sue rappresentazioni. “Il Politecnico” di Elio Vittorini fu sponda e testa d’ariete per chi intendeva la cultura come espressione autonoma dalla politica capace però d’arricchirla proprio perché non limitata. E’ in questo nuovo spazio che si muove subito con autonomia e passione Roberto Leydi, cultore di jazz, cinema, nuove architetture, elettronica e fumetti, e naturalmente di cultura e musica popolare, che dopo l’esperienza dirompente del “Bella ciao” di Spoleto nel 1964 passa, con Carpitella e il regista Negrin, appena due anni dopo a una nuova proposta/spettacolo che non intende più utilizzare cantanti specializzati bensì direttamente, dal capo di raccolta, gli informatori migliori, i campioni riconosciuti delle comunità di partenza, quelli che “sapevano suonare e cantare”, per restituire autenticità a una scena ricchissima che degenerava già, in quel rapido inurbamento tecnologico, decontestualizzando le opere e favorendo l’uso “folkloristico” del patrimonio popolare, e prima che anche queste spontanee “Scholae cantorum” subissero, per la rapida trasformazione dei contesti, per anemia e incapacità di trasmissione, stravolgimento o dissoluzione.
“Sentite buona gente” consegnò al paese un’esibizione epocale di cultura popolare a rischio marginalità, e conserva, per noi oggi, un patrimonio preziosissimo che il professore Domenico Ferraro ci riconsegna accompagnando la dettagliata descrizione di un’epoca irripetibile, conflittuale finché si vuole ma prolifica come nessuna, con una magnifica documentazione iconografica, la riduzione video dello spettacolo peraltro mai trasmesso in Rai, le registrazioni sul campo di quegli “informatori coscienti” come i cantori di Carpino, i musici terapeuti del Salento, i poeti improvvisatori di Arezzo, i musicisti e danzatori di San Giorgio di Resia, i suonatori di Maracalagonis, le sorelle Bettinelli di Ripalta Cremasca.
recensione di Alberto Marchetti