Corpi Estranei di Paola Ronco, Perdisa Editore 206 pag. eur 14.00
Un romanzo scritto con la sicurezza di una sceneggiatura: dialoghi perfetti, asciutti, significativi. I personaggi emergono dalle parole, dai gesti, quasi nulla è raccontato: è questo il romanzo d’esordio della giovane scrittrice torinese Paola Ronco, classe 1976.
Giocato sul filo del noir – perché c’è un assassinio – ma quel che conta maggiormente sono i tre protagonisti, più della storia, che comunque tiene fino alla fine, regalando anche un bel colpo di scena. L’andamento narrativo è ciclico: si dipana per ogni giorno a turno su ciascun personaggio lungo l’arco di una settimana come scene di un film, lunghi piani sequenza.
Un poliziotto ammazza un manifestante, questo ciò che sappiamo, e il corpo di quel ragazzo per terra, senza un lenzuolo che lo copra, a braccia allargate, allude a un morto che non siamo ancora riusciti a seppellire: Carlo Giuliani. E a discolpa dell’agente Cabras non dei fatti, ma una congiura di elementi che non lo giustificano ma ce lo fanno comprendere: un carnefice ma anche una vittima.
Come Silvia, la fidanzata di un suo collega, con un contratto in scadenza per una ditta di pubbliche relazioni, a cui viene affiancata una stagista perché si sprema di più, sudi per far capire che merita un contratto a tempo determinato, forse. Se lo avrà poi davvero. La guerra dei poveri giocata sul ricatto. E qualcosa che non le torna nel suo fidanzato Luciano, collega di Cabras. Quella pistola di ordinanza che diventa minacciosa, improvvisamente, mentre la sua vita finge di essere più stabile di facciata. Vittima del suo mondo, ma prima di tutto di una se stessa che non sa gestire, accontentandosi di fingere di aver fatto qualche scelta, mentre l’unica decisione che sa prendere alla fine è quella di mantenere i suoi segreti pagandoli con l’infelicità.
La terza protagonista è Alessia, studente lavoratrice con impieghi che durano anche solo una settimana e un grande dolore da gestire: il manifestante ucciso era il suo ragazzo, e due anni dopo la ferita sanguina ancora, nonostante un nuovo compagno la faccia stare bene. Ma è proprio a lei, l’unica a parlare in prima persona, che spetta un ruolo positivo. Forse è la sua età, forse il carattere, ma spetta ad Alessia dare speranza, anche se per trovare vita bisognerà forse andare lontano da questa Italia asfittica e crudele, vuota di ideali e sentimenti, intollerante e razzista.
Recensione di Monica Mazzitelli
[…] Ecco qui: Un romanzo scritto con la sicurezza di una sceneggiatura: dialoghi perfetti, asciutti, significativi. I personaggi emergono dalle parole, dai gesti, quasi nulla è raccontato: è questo il romanzo d’esordio della giovane scrittrice torinese Paola Ronco, classe 1976. Giocato sul filo del noir – perché c’è un assassinio – ma quel che conta maggiormente sono i tre protagonisti, più della storia, che comunque tiene fino alla fine, regalando anche un bel colpo di scena. L’andamento narrativo è ciclico: si dipana per ogni giorno a turno su ciascun personaggio lungo l’arco di una settimana come scene di un film, lunghi piani sequenza. Un poliziotto ammazza un manifestante, questo ciò che sappiamo, e il corpo di quel ragazzo per terra, senza un lenzuolo che lo copra, a braccia allargate, allude a un morto che non siamo ancora riusciti a seppellire: Carlo Giuliani. E a discolpa dell’agente Cabras non dei fatti, ma una congiura di elementi che non lo giustificano ma ce lo fanno comprendere: un carnefice ma anche una vittima. Come Silvia, la fidanzata di un suo collega, con un contratto in scadenza per una ditta di pubbliche relazioni, a cui viene affiancata una stagista perché si sprema di più, sudi per far capire che merita un contratto a tempo determinato, forse. Se lo avrà poi davvero. La guerra dei poveri giocata sul ricatto. E qualcosa che non le torna nel suo fidanzato Luciano, collega di Cabras. Quella pistola di ordinanza che diventa minacciosa, improvvisamente, mentre la sua vita finge di essere più stabile di facciata. Vittima del suo mondo, ma prima di tutto di una se stessa che non sa gestire, accontentandosi di fingere di aver fatto qualche scelta, mentre l’unica decisione che sa prendere alla fine è quella di mantenere i suoi segreti pagandoli con l’infelicità. La terza protagonista è Alessia, studente lavoratrice con impieghi che durano anche solo una settimana e un grande dolore da gestire: il manifestante ucciso era il suo ragazzo, e due anni dopo la ferita sanguina ancora, nonostante un nuovo compagno la faccia stare bene. Ma è proprio a lei, l’unica a parlare in prima persona, che spetta un ruolo positivo. Forse è la sua età, forse il carattere, ma spetta ad Alessia dare speranza, anche se per trovare vita bisognerà forse andare lontano da questa Italia asfittica e crudele, vuota di ideali e sentimenti, intollerante e razzista. This entry was posted in Articoli – Recensioni di letteratura, Su Slowcult. Bookmark the permalink. « La Mazzi a DonnaèWeb 2009! | | Finis terrae in English » […]