Bufo & Spallanzani, di Rubem Fonseca, Marco Tropea Editore, 203, pagg.224 14 euro.
In un agosto asfissiante come quello appena trascorso, può capitare di trovarsi in un supermercato di un paese in riva ad un lago per comprare delle batterie, un blocco per appunti e un paio di rasoi usa e getta. E può capitare di trovarsi alla cassa, mani occupate dai pochi oggetti acquistati, con lo sguardo perso nell’affollato seminulla del locale, e rendersi conto che gli occhi si sono fermati su un cassone di cartone. Sul contenitore male in arnese, probabilmente usato per mille altre svendite prima di quella in atto, c’è un fogliaccio strappato (male) con scritto (male) a pennarello: OFFERTA: LIBRI A 3 EURO.
Come resistere alla tentazione di frugarci dentro?
E, soprattutto, come resistere al richiamo di un libro con un rospo in copertina e uno “strillo” che recita: “Piaceri, delitti, bestie velenose nella vita turbolenta di uno scrittore in crisi” ?
Se a questo aggiungete che sulla copertina di un altro romanzo, dello stesso autore e sepolto appena sotto, c’è una frase di Paco Ignacio Taibo II che dichiara: “Rubem Fonseca è il maestro di tutti noi”… Cos’altro volete da un libro, che vi salti in braccio quando gli passate vicino?
Certo, adesso che l’ho letto sono quasi certo che, se non lo avessi comprato e mi fossi diretto verso l’uscita senza portarlo con me, un romanzo del genere sarebbe stato capace di librarsi in volo e sedersi al posto del passeggero, ma di questo non ho la controprova.
La trama, se vogliamo chiamarla così, oltre ad essere difficilmente riassumibile, non appare neppure come l’elemento cardine. Evoluzioni acrobatiche tra passato e presente, citazioni, truffe assicurative smascherate, delitti e morti apparenti, riflessioni sulla letteratura, sugli scrittori, sul loro narcisismo, edonismo, bulimia sessuale, insicurezze e omicidi veri e presunti che si trasformano in eutanasia, fanno della struttura narrativa un lussuoso appendiabiti a cui Fonseca affida indumenti ricercati. Pur mantenendo una perfetta adesione allo scheletro della storia, infatti, “Bufo & Spallanzani” convoglia una quantità enorme di polpa esistenziale. Per dare un’idea della complessità di questo testo, peraltro perfettamente godibile anche senza voler approfondire le tematiche che affronta, è sufficiente cercare di capire il titolo.
Il Bufo in questione è un rospo, nome scientifico Bufo marinus, che secerne una tossina dalle ghiandole paratiroidi. Questa tossina, chiamata bufotossina, può avere effetti letali per l’uomo, ma può anche provocare la morte apparente. Questo particolare effetto ha un ruolo molto importante nella vita del protagonista prima che decida di iniziare a scrivere e diventare una autore di successo, ma a prescindere dalla storia in sé, il concetto di morte apparente apre un mondo. E’ la morte apparente della letteratura, della specie umana, della cosiddetta civiltà occidentale, degli autori di romanzi? Gli Spallanzani, invece, sono addirittura due, entrambi citati più o meno direttamente. Il primo, di cui viene riportato il passo di un saggio, è Lazzaro Spallanzani (1729-1799), conosciuto per essere il primo microbiologo della storia e ideatore dell’inseminazione artificiale. Il secondo, è Elia Spallanzani (1920-1999) ed è uno scrittore sperimentale italiano, ideatore di un gioco letterario in cui alcuni personaggi del romanzo si sfidano e citato direttamente con un incipit. Soltanto per “spiegare” il titolo è servita mezza cartella, questo può far capire la ricchezza di questo romanzo.
In questo gioco di specchi che danno profondità al testo, si innestano spesso citazioni e aforismi di molti scrittori. A volte in contraddizione tra loro e a volte in sintonia, a cui si aggiungono altre considerazioni del protagonista, a sua volta uno scrittore in crisi creativa. Tanto per non farsi mancare un altro giochetto di citazioni/contraddizioni, lo scrittore protagonista si chiama Gustavo Flavio che somiglia tanto a Gustave Flobert, proprio quel Flobert che diceva: “Uno scrittore dovrebbe fare l’amore con il calamaio, anziché disperdere energie e linfa vitale con le donne”. Gustavo Flavio non ci pensa proprio a risparmiare energia, in particolare con le donne: ne è attratto compulsivamente e vorrebbe disperdere con loro tutta l’energia che ha.
Vorrei fosse chiaro: non siamo alle prese con un romanzo ostico e di difficile comprensione, tutt’altro. Quest’opera (e mai come in questo caso il termine non è ridondante) ha così tanti strati da essere godibile esattamente fino al livello in cui si decide di arrivare, se non si vuole andare oltre va benissimo lo stesso. Ovviamente più si va in profondità e maggiore è il piacere che se trae ma, in ogni caso, la lettura è capace di donare un’estasi e una sospensione dalla realtà che è la caratteristica peculiare dei grandissimi racconti.
Recensione di Daniele Borghi
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