Biliardino, Alessio Spataro. BAO Publishing – 2015. 296 pagine, brossurato, bicromia – 21 euro
Una serata romana dall’aria frizzante ma mite, l’atmosfera tranquilla di un lunedì sera di dicembre ancora non troppo vicino al Natale, una piccola e accogliente birreria tra Torpignattara e il Pigneto: scenario perfetto per incontrare Alessio Spataro che è qui per una delle presentazioni del suo “Biliardino” (BAO Publishing, 2015).
Tra una dedica disegnata e l’altra, circondati da amici e fans di Alessio – che in questa zona “gioca in casa” ma che sta riscuotendo molto successo anche in giro per l’Italia – facciamo due chiacchiere.
Come definire il suo ultimo lavoro? Certamente può rientrare nella categoria del Graphic novel – e a questo punto si apre con i presenti una simpatica disquisizione sulla declinazione italiana del termine: si dovrà dire “Una Graphic novel” oppure “Un Graphic novel”? Io propendo per il termine maschile, dato che “novel” in inglese non significa novella ma romanzo. E proprio di un romanzo si tratta in questo caso, perché la vita del protagonista Alexandre Campos Ramìrez (aka Alejandro Finisterre) ha decisamente del romanzesco: è lui stesso un irrimediabile romantico, come il suo amico Magì lo definisce, non senza una punta di sarcasmo. Una storia avvincente e di ampio respiro, affrontata dal disegnatore catanese con grande passione e una notevole padronanza della tecnica narrativa.
Attraversa l’Europa e la travagliata epoca del Novecento, il poliedrico e affascinante Finisterre, scrittore inventore e ballerino, con i suoi mille nomi e la sua creatura semplice ma geniale, nata per permettere anche ai giovani mutilati di guerra di divertirsi con il calcio: il Biliardino.
Alessio, tu vieni dalla satira, avendo pubblicato già vari libri dedicati ad alcuni personaggi della politica italiana: come è nata l’idea di raccontare la storia di questo gioco tanto amato in tutto il mondo?
L’idea è nata semplicemente curiosando in rete sul personaggio Alejandro Finisterre, a cui si attribuiva la paternità del biliardino. Ero rimasto attratto dalla vita avventurosa e misteriosa che veniva descritta nei siti italiani nel Febbraio del 2007, quando riportarono dalla Spagna la notizia della sua morte. Aspettavo da tempo l’occasione giusta per smettere con la satira, un settore del disegno che m’ha fatto divertire tanto, ma che ad un certo punto m’ha pure stufato.
C’è un grande lavoro di documentazione storica dietro un’opera del genere: cosa puoi raccontarci qualcosa di questa esperienza? Ci sono state scoperte inaspettate?
Sicuramente è stato un lavoro enorme di ricerca di fonti, lo ammetto, sia per il personaggio principale che per il gioco stesso. La fase della documentazione è durata quasi tre anni e continuava parzialmente a influenzare anche la fase successiva della realizzazione vera e propria delle tavole. Le scoperte inaspettate sono state tantissime, sono state proprio quelle che mi spingevano sempre di più ad incuriosirmi ulteriormente. Raccontarne anche solo una significherebbe anticipare parti importanti della storia perché le scoperte fatte sono tutte delle gustose sorprese contenute nel volume.
La scelta della bicromia è molto particolare – e niente affatto limitante come si potrebbe immaginare in un primo momento: del resto, si sa che molti vignettisti e fumettisti preferiscono il bianco e nero al colore. Come ti sei trovato a usare una tavolozza composta dal rosso e dal blu, i classici colori delle due squadre del Biliardino?
Nelle vignette di solito la scelta del colore dipende molto dal committente. All’inizio della lavorazione di “Biliardino” comunque è prevalso il panico, dato che per la prima volta mi cimentavo con questo metodo particolare di selezione del colore. Fortunatamente è durato poco, soprattutto perché l’intera storia, anche prima della sceneggiatura, era fortemente veicolata dalla presenza di questa bicromia con questi due colori da sovrapporre: il rosso e il blu. Altrimenti il fumetto avrebbe perso le scelte narrative di quasi tutte le scene.
Ho trovato nel tuo lavoro un notevole senso del montaggio. C’è un ritmo molto cinematografico e un gusto particolare per le inquadrature. Ti sei ispirato a qualche cineasta o a qualche film? Pensi che sia importante per un fumettista conoscere anche questo linguaggio?
Senza falsa modestia confesso di essere stato più che meticoloso nella scelta di ogni singolo passaggio. I riferimenti cinematografici sono tanti e spesso nel nostro lavoro sono necessari come le libere interpretazioni di tecniche di altri settori dell’arte. Però devo anche ammettere che la maggior parte delle ispirazioni sono riferite ad altri autori di fumetti che considero sempre dei modelli di creatività stravolgenti come Blain, Tezuka o Max.
A proposito del rapporto tra cinema e disegno, ti è mai capitato di lavorare nel campo dell’animazione? Come vedresti un film tratto da “Biliardino”?
Con l’animazione ho lavorato ben poco. E un film tratto da “Biliardino” sarebbe un sogno davvero vederlo animato anziché recitato.
“Biliardino” è un’opera avvincente anche perché è ricca di rimandi e di citazioni: ho trovato molto divertente il tuo modo di rappresentare i personaggi celebri che incrociano la strada di Alejandro. Senza timore di “spoilerare” niente, posso dire che ho riso molto con Sartre e la Beauvoir, e anche con Che Guevara. Immagino che anche tu ti sia divertito a disegnarli: pensi che potrebbero diventare protagonisti di altre tue storie?
Le scene in cui prendo in giro crudelmente sia Sartre che Guevara sono quelle in cui mi sono più sbizzarrito. Mi sono sfogato più di quanto già avevo fatto con personaggi dell’attualità politica con le vignette. Però credo che rimarranno lì e basta, anche se in effetti ho ritratto delle coppie di personaggi noti che risultano delle vere e proprie coppie comiche.
Parliamo un po’ di Alejandro, il tuo protagonista: uomo dalle mille risorse, inventa – o non inventa, a seconda dei casi – il biliardino, ma sembra che rivendicare questa paternità gli interessi fino a un certo punto. Lo vediamo infatti sempre molto impegnato come editore, tra intellettuali dissidenti, artisti e poeti. Lo definiresti un idealista?
No, al contrario lo si può considerare una persona molto pratica, razionale, capace di affrontare e superare ostacoli duri, ma non per questo una figura gelida e impersonale, anzi. Da quello che mi hanno raccontato le persone che lo hanno conosciuto dal vivo e che ho intervistato, Finisterre è sempre stato descritto come un uomo comunque solare, sempre allegro e amante della vita. Non a caso ha saputo affrontare egregiamente l’abbandono di una delle sue passioni, il biliardino, quando in Guatemala la sua fabbrica di giocattoli fu requisita a seguito del golpe fascista orchestrato dagli Usa. Trasferendosi subito dopo in Messico, si è facilmente reinventato come editore e uomo di cultura proprio grazie a questa sua sapiente duttilità.
Il genere del Graphic Novel sembra ormai avere conquistato un posto di tutto rispetto negli scaffali delle librerie. Si può dire che l’iniziatore di questo filone sia stato l’americano Art Spiegelman con il suo “Maus” (1986), qualche anno dopo c’è stata Marjane Satrapi con “Persepolis” (2000): si trattava di lavori che univano l’aspetto autobiografico ad un preciso discorso politico e che, al tempo, fecero molto scalpore. Oggi qual è il tuo giudizio sul panorama – nazionale e internazionale – del fumetto? Ci sono autori che ti piacerebbe consigliare ai nostri lettori?
Più che un genere, il romanzo a fumetti lo considero più come un formato di stampa che descrive un volume unico o pochi tomi di un racconto, nulla più. Non vedo troppe differenze tra un fumetto stampato in tanti piccoli volumi o in una pubblicazione unica, cambiano trasversalmente semmai lo stile e i contenuti. All’estero ad esempio un fumetto storico come “Berlin” di Jason Lutes (che consiglio a chiunque) non cambia se è pubblicato sia in tanti piccoli albetti spillati o in due grossi volumi.
Vedo con piacere che ormai da tanti anni in Italia i fumetti hanno meritoriamente conquistato sempre più spazio negli scaffali delle librerie di varia o nelle rassegne di letteratura in generale. Credo che questo risultato sia il frutto di una costante proposta di qualità sempre maggiore e anche dovuto a scelte lungimiranti proprie di alcuni editori: da noi la Coconino ha anticipato tutti.
Oggi si sta riscoprendo in libreria pure il valore aggiunto dell’estrema qualità di tanti fumetti seriali, tendenzialmente d’intrattenimento (d’avventura, di fantascienza, dell’orrore), prima relegati soprattutto all’edicola, al consumo periodico o al collezionismo. In questo senso va vista ad esempio la collaborazione tra Bao e Bonelli che per me rappresenta la migliore risposta ai mille dibattiti sulle presunte differenze tra albi a fumetti seriali e libri a fumetti autoconclusivi.
Sei molto attivo sui social network e devo dire che ho spesso ammirato il tuo imperturbabile aplomb nel rispondere sempre pacatamente alle più insidiose polemiche, specialmente quelle riguardanti i tuoi lavori di satira. Pensi che per il tuo lavoro di artista sia importante rapportarsi in maniera diretta con il pubblico? I social sono di aiuto o rischiano di diventare troppo invadenti?
Non saprei, la risposta dipende da mille fattori diversi. Io uso i social network esclusivamente per la mia professione, altri per passatempo personale, altri ancora sia per diletto che per promuovere i propri lavori. E non parlo solo di chi fa lavori creativi. Un po’ per me è stato noioso, ad esempio, dover spiegare le vignette che pubblicavo. Una cosa ridicola a cui ho ceduto spesso. Eppure è stato anche divertente dimostrare scientificamente a chi vota M5S o PD che ha torto, soprattutto quando si palesavano, esponendosi al meritatissimo pubblico disprezzo, persone che mi accusavano di fare vignette per la mafia o per i servizi segreti.
In questi anni c’è stata una grande riscoperta della street art: murales di tutti i tipi “fioriscono” continuamente su tanti muri di periferia. Cosa pensi di questa forma d’arte? Ti sei mai cimentato con opere del genere?
Una volta sola a Catania nello scorso millennio ho ritratto con lo spray su un muro Wojtyla con un preservativo sul dito medio, ma il disegno faceva davvero schifo e ho abbandonato l’idea. Non fa per me. Meglio guardare altri più capaci ed esperti che stanno colorando splendidamente tante città, prima fra tutte Roma, da Torpignattara a San Basilio.
Stai girando parecchio l’Italia per le presentazioni di “Biliardino”: quali saranno le prossime?
Sì sto girando abbastanza. Negli ultimi mesi del 2015 ho fatto una ventina di presentazioni di “Biliardino” in quasi tutta la penisola. Sarò un po’ ovunque ancora a Roma, a Torre del Greco il 16 Gennaio e a Febbraio a Ferrara, Cremona, Carpi e varie altre città.
E ora, per chiudere, la classica domanda sui tuoi progetti futuri. Stai già pensando a una nuova storia?
No, sto pensando a mille altri progetti e nella confusione preferisco concentrarmi sulla promozione di “Biliardino”.
Le date delle prossime presentazioni sulla pagina Facebook di Alessio
La pagina della BAO Publishing dedicata al libro
Approfondimenti, tavole, dettagli
Intervista a cura di Ludovica Valori