Alicia Gimènez Bartlett: Uomini nudi. Sellerio, 2016. 448 pag. 16 euro
Traduzione: Maria Nicola
Di questa autrice, nota soprattutto per la serie dedicata alla poliziotta Pedra Delicado (delizioso bisticcio di parole, quasi come Marilyn Manson), sono molto interessanti i romanzi non di genere. Questo testo, potente e al contempo misurato, è un acutissimo esame microscopico della società spagnola, ma avrebbe potuto essere ambientato in un qualsiasi paese occidentale impegnato a fare i conti con la ormai quasi decennale famigerata crisi economica.
I quattro personaggi principali, due protagonisti e due a corollario, sono un’incarnazione perfettamente centrata dei “tipi psicologici” che ognuno di noi potrebbe incontrare nelle nostre strade. Tutto questo, per fortuna, articolato in maniera letterariamente equilibrata, sapientemente dosata e mai banale o palesemente artificiosa.
L’aspetto più interessante non risiede nella psicologia dei singoli personaggi, in realtà nulla di particolarmente originale, ma nella loro reciproca influenza, da quanto e come una frequentazione tra persone molto diverse conduca ad una forma di osmosi, di contaminazione del pensiero e, di conseguenza, dei comportamenti.
I personaggi principali sono uomini e donne che non hanno assolutamente nulla di eccezionale, ognuno di loro ha il proprio percorso esistenziale segnato dalle consuete vicende che marchiano a fuoco l’esistenza di ogni essere umano. Divorzi, licenziamenti, lutti e problemi sentimentali svolgono il ruolo di snodi narrativi ma non ne sono il culmine, sono piuttosto i paletti di uno slalom in cui vediamo impegnati i personaggi a disegnare curve più o meno fluide o maldestre: come è facile immaginare, la parte più interessante della narrazione è la descrizione della curva, non del paletto.
Quel che è certo è che gli aspetti migliori di ogni personaggio, quelli che all’inizio del romanzo ne definivano i valori fondanti, quelli di riferimento, vanno lentamente a diluirsi prima e a sciogliersi per scomparire poi. L’approccio al degrado sempre meno reticente, il gioco al ribasso sociale e dei principi e la mollezza nell’accettare gli aspetti meno edificanti del sé sono la parte fondante di questo testo, come se l’autrice partisse dall’assunto che la specie umana faccia schifo e si adoperasse per dimostrarlo con il suo romanzo.
Si potrebbe obiettare che questo sia un romanzo a tesi, costruito e messo nero su bianco proprio per dimostrare (letterariamente) quanto scritto poche righe fa, ma la mia personalissima opinione è che tutta la narrativa sia “fatta” di “romanzi a tesi”, ed è soltanto il talento dell’autore che spesso impedisce al lettore di percepirli in quel modo.
Questo romanzo ne è uno degli esempi più chiari.
recensione di Daniele Borghi
ciao lo leggerò, da quel che dici sembra interessante