Bologna – MAMbo – 14 luglio – 13 novembre 2016
David Bowie è un Moderno Uomo Universale. Questo concetto, ormai assodato negli ambienti culturali, viene efficacemente rappresentato dalla splendida retrospettiva in atto a Bologna sino al 13 novembre, dopo il trionfale giro del mondo che iniziò quando l’Artista era ancora in vita, nel 2013, al Victoria and Albert Museum di Londra.
Questa mostra multimediale interattiva ha l’enorme pregio di attraversare la figura dell’Artista in tutte le sue sfaccettature, e di metterne in luce tutti i suoi elementi creativi, rivelando così la sua mutante, polimorfica natura di musicista, pittore, attore, scultore, poeta, scrittore, stilista, performer teatrale, descrivendoci una figura leonardesca di Artista Totale, sorta di nomade culturale, capace di osservare e reinterpretare la contemporaneità e la società con uno sguardo profondamente innovatore e trasgressivo, diventando un’icona del nostro tempo, rarissimo esempio in cui l’Arte, l’Immaginazione e la Creatività si sposano pienamente con la cultura “mainstream”.
Bisogna dire che i curatori della mostra Victoria Broackes e Geoffrey Marsch hanno scelto più di 300 oggetti dall’archivio personale dell’Artista, predisponendo una avvincente, spettacolare, suggestiva inquietante performance audiovisiva. Lo spettatore, munito di cuffie, entra in questo viaggio multisensoriale, attraversando le sale con una crescente tensione emotiva, unita ad una stupefacente sensazione di bellezza e di profondità. Finito il percorso, ritorna indietro, interagisce con i suoni e le immagini, rivede, rilegge, riascolta i brani musicali, per ore ed ore.
David Bowie, poliedrico, istrionico, sfuggente, geniale trasformista, non rientrava in alcuna definizione; il suo talento, la sua sensibilità, la sua opera non erano circoscrivibili in alcun ambito. Sempre “Oltre” la nostra percezione dell’apparenza, la sua opera rappresenta un flusso di coscienza fascinoso, magmatico, dissonante, rabbrividente e suggestivo. Per capire David Bowie, ed è questo il merito maggiore della splendida mostra bolognese, bisogna andare ben oltre le sue sonorità, pur così geniali.
L’ultimo album, sorta di opera testamentaria, ne è l’esempio lampante: si parte dall’elemento musicale per superarlo, rappresentando sia a livello concettuale che a livello visuale elementi fortemente emozionali, che rappresentano l’epitaffio che descrive la sua prossima morte, diventandone lugubre e poetica rappresentazione.
David Bowie ha lasciato un’impronta profonda sullo stile, sulle sonorità, sulla moda e quindi sul modo di vestire del suo tempo, ha profondamente influenzato e tuttora influenza il modo di pensare di diverse generazioni.
Profondo conoscitore e cultore dell’arte moderna e contemporanea, amava Basquiat, Jeff Koons e Damien Hirst (di quest’ultimo definirà commovente l’opera Beautiful Shattering del 1995), per non parlare di Andy Wahrol, che interpretò nel film “Basquiat” di Julian Schnabel; studiava anche pittura e design. In una intervista del 1998 dirà: “L’Arte è l’unica cosa che ho mai desiderato di possedere, è sempre stata per me un costante nutrimento”.
Tra i suoi riferimenti musicali, inoltre ci saranno, nel corso del tempo, anche Jacques Brel, Syd Barrett, Charlie Mingus, Stravinsky.
Il suo impatto sulla vita culturale è ampiamente evidenziato da questa straordinaria mostra, il suo essere icona di stile risulta palese, il suo essere paladino di un individualismo artistico e culturale, che per certi aspetti rappresenta una reazione alle culture alternative degli anni sessanta, come gli Hippies, permeate da un utopistico comunitarismo, che lo rende riconoscibile in ogni angolo del pianeta. Essa ha l’enorme merito di restituirci insieme all’immagine dell’Artista, la sua musica, che attraverso le varie sale ne accompagna i momenti creativi, in un mirabile tutt’uno con l’elemento visuale.
Essa è suddivisa tematicamente in tre principali sezioni:
La prima ci descrive i primi anni di vita e gli inizi della carriera dell’Artista nella Londra degli anni sessanta, sino al punto di svolta che è considerato l’epocale “Space Oddity”.
La seconda parte ci accompagna all’interno del suo processo creativo e descrive le multiformi fonti di ispirazione che hanno dato vita alla sua musica ed al suo inimitabile stile nelle performance.
La terza, vasta come le precedenti, ci proietta nel mondo dei grandi concerti live di Bowie, intrecciando gli allestimenti audio e video, spettacolari, di grandi dimensioni, alla presentazione dei grandi costumi di scena e materiali originali.
Così ci troviamo ad interagire con i primi passi dell’Artista, il suo rapporto contraddittorio con la periferia londinese da cui proviene, e da cui vuole fuggire, influenzato dal pensiero di Ballard, che considerava tutte le periferie moderne dei luoghi sinistri, l’incontro con la Londra “swinging” e sfavillante del West End, le prime influenze musicali, come Little Richard e James Brown, il suo fondamentale incontro con i movimenti giovanili dell’epoca, e le loro culture, i Mods, i Teddy Boys, il tardo Hippysmo, cui non si appassionò, e soprattutto con la letteratura della controcultura, in particolare il citato, fondamentale Ballard e Bryon Gysin, scrittori di fantascienza apocalittica, entrambi influenzati da William Burroughs e Timothy Leary, autore del fondamentale “L’esperienza psichedelica”, che lo appassionò per l’esplorazione concettuale dei meandri della psiche, attraverso una costante destrutturazione dell’io che consente un viaggio nello spazio interiore.
Dalle letture giovanili di Philip Dick, dall’esoterismo di Nikola Tesla viene la sua passione per i viaggi spaziali, la sua allucinatoria fascinazione per la scienza delle stelle, che lo portano a pensarsi un altro da sé e dal mondo, non un semplice astronauta, ma un extraterrestre. Si calerà infatti nei panni dell’alieno Thomas Newton ne “L’Uomo che Caddde sulla Terra’’ di Nicholas Roeg.
Ma sarà Kubrick, con il fondamentale “2001 Odissea nello Spazio” e la missione Apollo, che ebbero entrambi un impatto fortissimo nell’immaginario sociale del 1968, a portare Bowie verso gli universi sconosciuti del progresso, ed a considerarne la portata illusoria ed i limiti.
Egli respingendo il falso mito del progresso, con “Space Oddity” ci racconta l’odissea di Major Tom, l’astronauta che si perde nello spazio profondo, brano icona del pop moderno, che in realtà voleva rappresentare la solitudine epocale e la perdita del sé, la cui storia verrà ripresa più volte, dall’Artista, nel corso del tempo, in “Ashes to Ashes”, nella tenebrosa “Hello Spaceboy” ed infine nella splendida, funerea “Blackstar”. E quasi cinquanta anni dopo, nel 2013, sarà l’astronauta Chris Hadfield a cantare la canzone originale, fluttuando nello spazio, rendendo un significativo omaggio all’uomo delle stelle.
Poi verranno “The Man Who Sold the World” e il fantasmagorico “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”, che apre il periodo “glam”, di cui la mostra presenta il bellissimo abito trapuntato in due pezzi, disegnato nel 1972 per il lungo tour promozionale dell’Artista.
E certamente l’attività di stilista di Bowie è ampiamente rappresentata; egli influenzò, nel campo della moda, grandi stilisti, e ne fu egli stesso influenzato, in un continuo rapporto dialettico; vengono presentati gli abiti utilizzati per concerti, o disegnati per le splendide copertine dei suoi album da lui stesso o da Kansai Yamamoto, che in video ha parole di profonda commozione rievocando la sua figura, da Freddie Burretti e molti altri. C’è lo splendido costume di Pierrot disegnato da Natasha Korniloff per la copertina dell’album “Scary Monsters (and Super Creeps)” e persino il cappotto Union Jack di Alexander Mc Queen per la copertina del disco “Earthling” del 1997, cui peraltro dette il suo contributo, e non manca, insieme ad innumerevoli altri abiti, quello in vinile, “Tokyo Pop”, disegnato ancora da Kansai Yamamoto per il tour di “Aladdin Sane”.
E viene sottolineato come una delle canzoni manifesto dell’Artista ,“Changes”, la vita intesa come opportunità e cambiamento costante, dove non c’è mai direzione riconoscibile, sia stata uno dei fondamenti del suo rapporto con il mondo della moda e della fotografia artistica, anche se ad una lettura attenta il brano si presta ad una interpretazione molto meno vitalistica, e ben più amara, in quanto incentrata sui cambiamenti visti anche come occasioni perdute. I suoi personaggi, soprattutto quelli creati nella decade tra i settanta e gli ottanta diventeranno comunque icona dei più affermati stilisti.
Sono presenti, inoltre, innumerevoli disegni preparatori, schizzi, storyboard preparati da Bowie per film o brani musicali, o copertine di album.
Il 28 febbraio 1974 un Bowie in piena fase “Glitter” incontrò uno dei suoi riferimenti culturali più importanti, quel William Burroughs, trasgressivo padrino della Beat Generation, per una famosa intervista per la rivista Rolling Stone, cui fu dato molto risalto mediatico. Il colloquio fu improntato ai temi della fantascienza, della sessualità ed ai processi creativi dell’arte. L’evento avvenne in un momento di Ziggymania, in cui l’Artista stava rapidamente diventando un’icona culturale del suo tempo. Bowie creava le mode, e poi accorgendosi delle centinaia di imitazioni, passava oltre, disorientando il suo pubblico, ed i suoi molteplici imitatori. Così anche Ziggy, in una spettacolare e drammatica performance teatrale, moriva sul palcoscenico, e si passava oltre. Questa figura, dirà Bowie in seguito, richiamando l’intervista, proveniva per ispirazione da Ragazzi Selvaggi di William Burroughs, che, seppur già molto noto allora, di lì a poco sarebbe diventata una potente icona controculturale, al punto che questa sua opera sarà declamata furiosamente dai primi punk.
Ed in particolare, essa, pervasa da una visione allucinata di un futuro prossimo invaso da eserciti di umanoidi guerriglieri adolescenti, influenzò Bowie. Egli rivelò di aver tratto la forma e l’aspetto di Ziggy e degli Spiders da essa, ma anche dalla versione cinematografica di Kubrick del romanzo di Antony Burgess, Arancia Meccanica, ma il volume di Burroughs fu anche, insieme ad altre suggestioni, come “1984” di George Orwell, la genesi dell’album allucinatorio ”Diamond Dogs”, che infatti contiene un brano ispirato a detto volume, e la trasgressiva ” Rebel Rebel”, che diventerà un inno al “transgender” ed alla ambiguità sessuale adolescenziale.
Parimenti, dei suoi molteplici riferimenti culturali, grande evidenza viene dato al suo rapporto con Lindsay Kemp; così solamente per il grande mimo c’è una intera parete, un tappeto di splendide foto che ritraggono i due nelle loro relazioni artistiche ed amicali.
Ma la mostra mette anche in risalto, attraverso splendide foto, il percorso di identificazione di Bowie con la cultura romantica, attraverso la figura di Screaming Lord Byron (uno splendido video del 1984 di Julien Temple, “Blue Jean”, lo documenta), con il quale si identifica anche visualmente, attraverso un look geniale ed ispirato; bisogna considerare che egli arriva sulla scena internazionale nel momento in cui la rivoluzione sessuale degli anni sessanta, considerata un ritorno della cultura romantica, cominciava a venire meno, facendo spazio ad un individualismo decadente e apocalittico. Ebbene, egli vive questa contraddizione e la rappresenta genialmente in una sorta di teatro dell’identità, dove, come Byron, rivendica la sua bisessualità, e comunque l’ambiguità sessuale come segno; in realtà, la sua sintonia andrà soprattutto incontro allo spirito tardo romantico di Oscar Wilde, per il gusto della provocazione teatrale ed il culto delle maschere. Successivamente, con lo straordinario video “Ashes to Ashes”, girato insieme a David Mallet nel 1980, partendo dall’esigenza che la pop star degli anni ottanta avesse una rappresentazione anche visuale, ridefinisce l’estetica della Video Art, e contemporaneamente lancia il movimento “New Romantic”, che avrà la sua massima espressione nei Visage, negli Spandau Ballett, ed in Boy George, e nei Duran Duran, tutti gruppi che riconosceranno l’influenza fondamentale del Duca Bianco. Non a caso Steve Strange dei Visage fu scelto per una breve apparizione nel video.
E che dire del periodo “americano” di “Young Americans” e di “Station to Station”, che lancerà l’estetica del Sottile Duca Bianco? In realtà un periodo oscuro per l’Artista, che soffrì di depressione e di manie persecutorie. Affascinato dall’occulto, era terrorizzato, trovandosi a Los Angeles, non lontano dai luoghi degli omicidi di Charles Manson, da presenze oscure, e dalla figura di Manson stesso. In preda alla cocaina, ebbe persino deliri paranazisti, che si porterà per un certo periodo anche al suo ritorno in Europa,( ma che poi rinnegherà totalmente) immaginando una improbabile ricerca del “Santo Graal”. Si salvò partendo per Berlino, dove entrò in contatto con una scena musicale multiforme e creativa, producendo anche album di Lou Reed ed Iggy Pop, ed iniziando una mirabile fase di creatività sonora insieme a Brian Eno.
Una intera stanza è dedicata alla trilogia berlinese, nell’ambito della quale Bowie, insieme a Brian Eno, trasfigurò e dette fondamento alla nuova musica elettronica moderna, con la splendida trilogia di album “Low” (fondamentali Warzawa e Art Decade),” Heroes” (straordinario album di canzoni elettroniche tra cui spiccano la title track, Sons of Silente Age, Sense of Doubt) e “Lodger” ( esemplari Fantastic Voyage, Move On, Look Back in Anger). L’impatto musicale che ebbero queste opere fu epocale, Heroes in particolare, ebbe un enorme influenza sulla cultura di massa, abbracciando musica da film, musica classica contemporanea, danza moderna e performance art. E dopo molti anni, nel 95, l’Artista richiamerà Brian Eno a collaborare all’album sperimentale “ 1.Outside”, un capolavoro cupo, gotico, dove Bowie si immedesima nello stralunato detective Nathan Adler, che indaga sul terribile omicidio ritual artistico di una ragazzina: la morte come estrema rappresentazione artistica, in un percorso di allucinante follia.
Certamente egli fu influenzato dai grandi compositori minimalisti americani, come John Cage, ed ancora di più Terry Riley, Philip Glass e Steve Reich, ma bisogna dire che essi stessi furono influenzati da Bowie, se si pensa che Glass sentì, pochi anni dopo, la necessità di comporre due sinfonie inerenti due album del trittico berlinese, Low e Heroes, e che la grande coreografa Twyla Tharp ne trasse una splendida realizzazione di danza contemporanea. D’altro canto, l’eclettismo dell’Artista è talmente profondo, che l’influenza reciproca delle forme d’arte è la sostanza stessa della sua creatività.
Esauriente, peraltro, anche la rappresentazione visuale delle sue opere cinematografiche, che sono numerose, dove ebbe modo di lasciare più volte traccia di grande professionalità e capacità interpretative, soprattutto nei ruoli drammatici, come in “Good Chrismas, Mr. Lawrence” di Naghisa Oshima e ne” L’Uomo che cadde sulla terra” di Nicholas Roeg; ma anche la sua incursione nel fantastico, come in “Labyrinth” di Jim Henson, è notevole, come pure la performance nel seminale “Absolute Beginners” del geniale Julien Temple.
Un unico appunto a questa mostra epocale, certamente una delle più importanti degli ultimi anni. Considerato che l’esoterismo è stato una costante passione nella vita di Bowie, e ne ha permeato il pensiero e ha accresciuto la sua poetica visionaria in molte circostanze, dobbiamo rilevare che questo aspetto, a nostro parere, ci è sembrato che non sia stato abbastanza messo in evidenza. Per il resto una straordinaria opportunità per conoscere un artista immenso, che rimarrà per sempre, destinato ad influenzare molte generazioni future, aprendo la strada verso le mille forme della creatività artistica.
Reportage di Dark Rider