Ago 152022
 

L’appuntamento è ormai una tradizione dal 2009: la redazione di Slowcult celebra l’estate con una serie di proposte d’ascolto (recenti o datate, classici o di nicchia…) meritevoli di un’attenzione approfondita che è possibile trovare nei tempi lunghi dei giorni intorno alla festa di metà estate.

Buon ascolto e buon Ferragosto!

★★★★★

Dark Rider consiglia:
Current 93 – If The City is Set Upon A Hill (HomAleph, 2022)

Dark Rider - Current 93David Tibet, l’inquieto ed irriducibile menestrello del Folk Apocalittico ci regala, con questo ultimo album, una gemma sonora di rara intensità, raggiungendo uno dei suoi vertici poetici e compositivi, almeno dai tempi di Black Ships Ate The Sky, che risale al 2006.

Il percorso artistico del musicista inglese, anche pittore e poeta, pur tra inevitabili alti e bassi, è coerente  e rappresenta da quaranta anni un unicum nel panorama artistico internazionale, in una poetica suggestiva e sognante, che ci racconta, con voce monotona ma che declama fortemente versi impregnati di intenso lirismo,  di apparizioni mistiche o diaboliche, navi in fiamme nel lontano orizzonte, cani arsi vivi, fiumi urlanti nella tempesta, città imprendibili dalle mura dorate, cavalieri di ventura che sfidano il destino, mistici che incontrano la loro fine, locuste che si alzano dal terreno, massacri dimenticati, allucinazioni visive. Un vate visionario e malinconico, che dal vivo (avemmo l’occasione di assistere ad un intenso concerto notturno dei Current 93 nel 2009, al Post Romantic Empire) si compenetra fortemente nelle sue visioni, nelle storie che racconta e nei suoi personaggi, sino a voler rappresentare, con enorme sofferenza, una sintesi perfetta di Arte e Vita.

Quest’ultimo album, che segue di quattro anni l’eccellente The Light is Leaving Us All,  è caratterizzato da un costante afflato lirico, e disegna  malinconicamente un tempo perduto, la solitudine, il dolore, la bellezza nascosti in una città in cima ad una collina.

Pur essendo un album dal suono minimale, come tradizione della band, la parte strumentale è molto più presente ed elaborata, rispetto ai precedenti lavori: si utilizzano flauti, violini, su di un mirabile e soffuso tappeto elettronico che potremmo definire di matrice Industrial. Tibet si avvale, per l’occasione,  di eccellenti professionisti, tra cui Alasdair Roberts alle chitarre e sintetizzatori, Andrew Liles alle chitarre e tastiere, Aloma Ruiz Boada eccellente violinista, Ossian Brown alla ghironda e drone  tones, Michael J.. York ai flauti e duduk, ed infine Reinier Von Houdt al pianoforte e chitarre.

If a City Is Set Upon A Hill è in linea tematica con molti precedenti lavori neofolk di Current 93: viene descritta una inquietante epoca senza tempo, un viaggio attraverso le oscure campagne inglesi, all’ombra delle quali si cela sempre qualcosa di terrificante, sino alla Citta’ delle Ombre sulla collina, quasi a voler rappresentare una inquietudine esistenziale, uno spavento senza fine.

Il magistrale contrasto tra il folk delle armonie bucoliche delicate e soffuse ed il tappeto sonoro caratterizzato da subdoli inserti industriali rende questa opera particolarmente oscura ed ispirata, dagli  aspetti onirici, coniugati mirabilmente  in una dimensione visionaria ed allucinatoria che il menestrello esoterico esplora con grande intensità, forse ispirato anche da una dimensione estetica medievaleggiante.

Tra i brani declamati, rifulge la arcana bellezza dei paesaggi ipnagogici di If a City…, la delicatezza di Clouds At Teatime, l’asprezza di There is Not Zodiac; l’intero percorso musicale dell’album è comunque caratterizzato da un misterioso, arcano splendore, un sogno criptico di raffinata intensità poetica.

Fabrizio Forno consiglia:
Sons of Kemet – Black to the Future (2021, Impulse! Records)

Fabrizio - Sons Of KemetSe siete amanti delle etichette, delle classificazioni per generi, per i compartimenti stagni, stavolta faccio particolarmente fatica ad assecondarvi; Sons of Kemet: è Jazz? Forse sì (ma quale? Il Free? La Fusion?), e la pubblicazione per l’etichetta Impulse! (quella di tanto Coltrane, Coleman, Shepp ecc.) nonché lo strumento imbracciato dal loro leader Shabaka Hutchings, il sax tenore, il principe dei fiati, indubbiamente farebbero protendere verso questa definizione; ma c’è molto di più, c’è afrobeat, dub, reggae, hip hop, world music…

Insomma parlare di generi è quanto mai complicato e probabilmente inutile. Assistere al live della band britannica è un rito iniziatico, una cerimonia mistica, un’esperienza energetica e rivelatrice. Il disco in questione, il loro quarto e a questo punto ultimo, visto che la band è ai titoli di coda, è stato il mio disco del 2021 e non solo per il sottoscritto, ma anche – per esempio – per la prestigiosa rivista Mojo.

Shabaka con questo quartetto che lo vede assieme a due batterie e a un basso tuba esprime tutta la potenza e la suggestione della Mother Africa ma vista attraverso la lente dell’attuale scena britannica, qualcosa di vivace e stimolante anche grazie a tanti altri artisti (Moses Boyd, Yazmin Lacey, Hector Plimmer, Theon Cross, che poi è quello che suona la tuba nei Sons).

Il geniale titolo, Black to the Future è un manifesto programmatico sintetico ed esplicito. Un disco denso, da centellinare senza abusarne l’ascolto, magari alternandolo ai lavori di Hutchings con gli altri suoi progetti, Shabaka & the Ancestors e The Comet is Coming, che per la cronaca a settembre pubblicheranno un nuovo album. E sempre per la cronaca, voglio segnalare la giovane batterista che per le date italiane del tour ha sostituito Tom Skinner, ormai in pianta stabile arruolato nei The Smile di Yorke e Greenwood: Jas Kayser. Segnatevi il suo nome e il suo album Jas 5ive, è di sicuro da tenere d’occhio.

Black to the Future, con l’autografo di Shabaka, poi! Inevitabilmente il mio disco per l’estate 22.

Claudia Giacinti consiglia:
Mike Patton  Mondo Cane (Ipecac, 2010)

Claudia - Mondo Cane“Mondo Cane” è molto più di una segnalazione come disco per l’estate.

Perché il geniale e poliedrico artista che è Mike Patton ha racchiuso in questo progetto (che nella versione live include molti più brani rispetto a quelli presenti nell’album) le cover di interpreti che hanno scandito la storia, e non solo canora, del nostro Paese.

È un atto di amore, un tuffo indietro nel tempo dove, grazie alle le sue impeccabili esecuzioni, ripercorriamo atmosfere a cavallo tra i 50 e i 60 attraverso la rivisitazione dei brani di artisti del calibro di Buscaglione, Murolo, Paoli, il tutto in un italiano pressoché perfetto.

Accompagnato peraltro da una vera e propria orchestra, la filarmonica Arturo Toscanini, composta da circa 65 elementi e che vede anche la partecipazione di Roy Paci.

È un disco che amo e che ho avuto anche il privilegio di ascoltare dal vivo in un concerto dove ho potuto apprezzare ancor di più le doti canore di questo meraviglioso personaggio al quale auguro davvero di cuore di archiviare al più presto il periodo non felice che sta attraversando. Mike, ti aspettiamo. Nel frattempo la tua splendida voce ci allieterà le vacanze!

Andrea Carletti consiglia:
Vanishing Twin – The Age of Immunology (2019, Fire Records)

Andrea - Vanishing TwinLa concretezza del pop e una psichedelia sfuggente, un solido groove nelle fondamenta e un tetto infinito di suoni fantascientifici, melodie purissime e improvvisazioni inafferrabili, il futuro e il passato. I Vanishing Twin nascono come evoluzione del progetto solista della cantante e polistrumentista Cathy Lucas, a cui si unisce un ensemble insolitamente cosmopolita, prodotto della vivacissima scena indipendente di East London: la batterista Valentina Magaletti (protagonista di innumerevoli progetti di straordinaria qualità, da Tomaga a Holy Tongue ai Moin, giusto per nominarne qualcuno), il bassista Susumu Mukai (a.k.a. Zongamin), gli “strange sounds” di Phil M.F.U. (Man From Uranus) e il flauto e le percussioni del visual artist Elliott Arndt.

Secondo capitolo in una discografia che ad oggi raccoglie tre ottimi album, questo “The Age of Immunology” spicca per la varietà delle atmosfere e la qualità assoluta delle canzoni. Come l’esordio “Choose Your Own Adventure” (2016) e il più recente “Ookii Gekkou” (2021) vede il contributo in cabina di regia di Malcolm Catto, batterista e leader dei The Heliocentrics, con i quali i Vanishing Twin condividono anche una vocazione all’esplorazione delle psichedelie del mondo e alla ricerca di atmosfere retrofuturistiche, oltre che una passione per certa library music. Ma mentre la band di Catto si lascia costantemente andare a densissime e lisergiche jam dalle strutture poco definite, qui l’amalgama sonoro è più rarefatto e l’improvvisazione è più che altro un punto di partenza: l’intreccio tra gli irresistibili ritmi condotti da Magaletti e Mukai (che spesso pescano a piene mani dalla lezione dei maestri Can) e il caleidoscopio sonoro allestito da Arndt e Phil M.F.U. è costruito al completo servizio delle canzoni, lasciando tutto lo spazio necessario alla voce e alle melodie di Cathy Lucas.

Ci si può avventurare tra momenti eterei come “You Are Not an Island” e “Wise Children” e viaggi nel groove come l’intensa e ossessiva “Cryonic Suspension May Save Your Life”, l’ipnotica “Backstroke” o le più colorate “KRK (At Home in Strange Places)” e “Language Is A City (Let Me Out)”, in cui risuonano echi di Tropicalia. C’è spazio per un’assoluta gemma di pop purissimo e a tinte morbide, la splendida “Magician’s Success”, come anche per divagazioni decisamente più sperimentali con momenti recitati dai vari componenti del gruppo nelle loro lingue native (italiano, giapponese, francese, inglese).

Un album sognante e variopinto, delicato e intrigante, ricco di idee e di dettagli sonori, che riesce a far convivere pensiero e groove, psichedelia sessantiana e kraut, minimalismo e jazz. Da esplorare infinite volte per accompagnare lo scorrere del tempo di questa estate.

Federico Forleo consiglia:
Faith No More – Introduce Yourself (1987, Slash)

Federico - Faith No MoreSono molti i casi in cui l’ingresso di un nuovo frontman porta un gruppo al successo, facendo finire nel dimenticatoio il cantante fondatore: pensiamo a Charlie Dominici dei Dream Theater o a Rod Evans dei Deep Purple. La band esplode con un nuovo eccezionale vocalist, unanimamente considerato un fuoriclasse indiscusso. Ma a volte per alcuni ascoltatori il predecessore non riesce a essere scordato del tutto, seppure oggettivamente dotato di un talento minore. Quante persone preferiscono il dittico iniziale Iron Maiden/Killers con Paul di Anno dietro il microfono rispetto a Bruce Dickinson (pur adorandolo quest’ultimo)? Per non parlare dei Can con il loro esordio capolavoro Monster Movie dove alla voce non era ancora presente Damo Suzuki ma l’atipico e straordinario Malcom Mooney. E i Faith No More? Mike Patton è (giustamente) amato, rispettato e adorato praticamente da qualsiasi ascoltatore. Ma per molti, il Chuck Mosley di Introduce Yourself è impossibile da dimenticare. Rozzo, approssimativo, sgraziato, ma dotato di un’istintività e immediatezza davvero uniche.

Nel loro secondo disco (anche se il debutto del 1985 We Care a Lot viene in realtà da molti considerato un falso primo album, componenti compresi), sono già perfettamente presenti e definiti i caratteri fondamentali del quintetto californiano, a iniziare dall’opener track Faster Disco: basso, batteria e chitarra viaggiano perfettamente all’unisono, marziali e compatti su un’unica nota, dai quali solo la tastiera di Roddy Boddum e il canto di Mosley sono autorizzati a tracciare degli accenni di melodia, sfociando in un chorus epico e ricco di pathos. È una struttura che a ben vedere si ripete spesso nei brani della band, ma il talento straordinario dei Faith No More è proprio quello di riuscire, restando ancorati a una struttura fissa, ad attraversare atmosfere e stati d’animo distanti tra loro. La successiva Anne’s Song è anch’essa basata su un unico semplice riff che porta a un chorus emozionante, ma qui il tono è scanzonato, goliardico e autoironico (recuperate il video). È incredibile come brani espressivi, intensi e profondi come Chinese Arithmetic o Blood (forse i veri capolavori dell’album) vicini a band quali i Killing Joke, si sposino perfettamente a momenti più ironici e divertiti come Introduce Yourself e We Care a Lot (veri e propri inni).

La sabbathiana Death March, lo spoken word da ubriaco di The Crab Song, le filastrocche da bimbo inserite nel rap di R’n’R (“It’s not a matter of opinion!“), ogni elemento contribuisce alla creazione di un album che attinge dalle fonti più disparate (funk, post punk, metal, punk) per creare qualcosa di unico. E se è vero che il successo arriverà con i due bellissimi dischi con Patton alla voce, per molti è questo il vero album dei Faith No More, diretto, genuino, immediato, sincero. Certo, a fronte di dischi come The Real Thing e Angel Dust può sembrare un giudizio piuttosto drastico: ma d’altronde sono tanti gli ascoltatori che dichiarano che i Pink Floyd siano finiti dopo la pubblicazione di The Piper at the Gates of Dawn…

Tommaso Notarangelo consiglia:
Thundercat  It Is What It Is (Brainfeeder, 2020)

Tommaso - ThundercatIl fatto che uno come Pete Townshend (The Who) l’abbia definito un ossessione al pari di Sgt. Pepper’s mi aveva incuriosito, ho acquistato la versione in vinile dell’album di Thundercat, It Is What It Is.

L’album è un’esplosione in una fabbrica piroteconica di idee e musicalità e inventiva: sarebbe da definirlo genio, dietro al nome Thundercat c’è Stephen Bruner, con questo album ha dimostrato ancora una volta di avere i numeri per scrivere e pubblicare musica rivoluzionaria e rispettosa delle sue radici e dei suoi antenati.

It Is What It Is gira abilmente tra Jazz, Funk, Disco, R’N’B e ghetto rock in un modo che sfida la logica e il gusto e offre sottili scontri grafici apparentemente senza alcuno sforzo.

È un meraviglioso album di un artista veramente a suo agio nella propria pelle, che indossa la sua personalità come un abito su misura. È figlio d’amore (da vedere i video legati all’album) del pensiero volto al futuro e della sensibilità retrò.

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