Ott 232013
 

Roma, Museo d’arte moderna Maxxi, dal 24/04/2013 al 27/10/2013

★★★★☆

 

 

Nel futuristico spazio del Maxxi, tra le esposizioni dedicate alle avanguardie del novecento, rifulge in tutta la propria bellezza l’arte di Luigi Ghirri (1943-1992), indubbiamente uno dei fotografi più influenti della storia recente italiana, omaggiato da un’esposizione che ha ripercorso la carriera di un’artista interrotta purtroppo dalla prematura scomparsa avvenuta poco più di vent’anni fa, suddividendo la proposta in tre tronconi inerenti icone, paesaggi ed architetture. A riguardo della poliedricità di Ghirri, numerose sono le testimonianze a suffragio: dalla predilezione per le tematiche d’estrazione simil-iperrealista, come nel caso delle persone immortalate di spalle quasi a simboleggiare il rispetto di un privato che il fotografo sembra voler ritrarre senza danneggiare l’intimità dell’individuo, si passa alle deliziose cartoline a sfondo pubblicitario, con immagini vintage di prodotti appartenenti ad un passato disperso che sembra aver scavato un solco con l’epoca digitalizzata con la quale ci ritroviamo oggi a fare i conti. Splendidi, poi, gli affreschi ritratti nelle vedute marittime di Marina di Ravenna, mentre i desolati paesaggi innevati (straordinaria l’istantanea di un cimitero) fanno macchia all’interno di una civiltà spogliata dalla presenza dell’uomo, in favore di una ragionata attitudine a soffermarsi sui particolari naturali (campi, vallate, laghetti montani) oppure ritraendo luoghi ove la prevista presenza dell’individuo stesso viene volutamente accennata come correlativo oggettivo, ad esempio negli scatti raffiguranti gli interni di appartamenti vuoti oppure nelle distese di serrande abbassate e negozi chiusi, a voler sottolineare la presenza/assenza dell’uomo all’interno della civiltà idealizzata dall’autore. Da contraltare, Ghirri ci offre anche una solida veduta d’interni “artistici”, con le fotografie degli studi del grandissimo Giorgio Morandi o dell’architetto Aldo Rossi, senza trascurare l’aspetto editoriale dell’artista, autore di numerose pubblicazioni quivi esposte tra le quali la rarissima edizione originale di Kodachrome (1978, Punto e Virgola), prima monografia dedicata all’arte di Ghirri, fino ad una raccolta di menabò contenenti una sorta di “schizzi fotografici”, per concludere con i libri d’artista ai quali Ghirri stesso ha collaborato, spesso firmando con uno dei suoi magnifici scatti la copertina di pubblicazioni destinate ad una nicchia di mercato rivolta a pochi collezionisti dispendiosi ed esigenti. E poi ancora il naturalismo di Amsterdam, la brulla Puglia, una Modena splendida e plumbea (un cartellone pubblicitario vuoto immortalato nel bel mezzo di un temporale) offrono un saggio esauriente delle qualità di questo maestro della fotografia, ritenuto da qualche addetto ai lavori forse troppo concettuale ed a tratti manierista, ma indiscutibilmente foriero di uno stile personale ed immediatamente riconoscibile, tanto per la predilezione di ambientazioni bucoliche quanto per l’attitudine a raffrontarsi con realtà culturali complesse come l’architettura o la nascente industria pubblicitaria (a partire dai primissimi anni ’70), nonché la partecipazione a poderosi volumi trattanti l’arte fotografica da Ghirri stesso impreziositi magari con un solo flash all’interno di essi, senza dimenticare l’attività di editore che lo ha visto protagonista per oltre un decennio. Inoltre, tra i trecento scatti repertati all’interno della mostra, trovano spazio anche rari momenti dedicati alla musica, come nel caso delle copertine dei dischi di Chopin o di Dalla/Morandi, tra le quali svetta la meravigliosa cover regalata ai conterranei CCCP per il loro Epica Etica Etnica Pathos, una delle immagini più belle offertaci dalla musica made in Italy di fine secolo. Per chi volesse approfondire la conoscenza del Ghirri uomo oltre che artista, è d’obbligo segnalare il bellissimo documentario Il Mondo di Luigi Ghirri (1998), opera del saggista e regista Gianni Celati, reperibile all’interno del cofanetto Cinema all’aperto edito da Fandango e dedicato proprio all’opera di Celati. Senza meno, una chicca da recuperare.

Recensione di Fabrizio 82

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