Roma, MACRO Testaccio – La Pelanda, dal 3 dicembre 2011 al 29 aprile 2012
National Geographic deve la sua fama, come rivista globale, soprattutto alle fotografie e Steve McCurry è uno dei più importanti fotografi di National Geographic. Questo forse può essere utile, per introdurre un artista poco noto per il suo nome, ma molto per immagini che sono diventate simbolo di intere situazioni geo-politiche, come il volto della ragazza afgana dagli occhi verdi, pubblicata come copertina del National Geographic Magazine di giugno 1985, divenuta la più nota uscita della rivista. E infatti – nella mostra che il MACRO dedica al fotografo – sono solo le immagini a parlare, messe al di sopra di ogni altra cosa, diversamente da come è avvenuto, ad esempio, nella recente mostra di Henry Cartier-Bresson, dove i testi interpretativi potevano contare su una pari dignità, rispetto alle foto.
Nella esposizione di McCurry, dall’allestimento molto sofisticato – basato sulla metafora del villaggio nomade – le didascalie riportano solo luogo e anno dello scatto, senza alcun altra spiegazione, proprio a sottolineare il primato dell’immagine. Un’immagine che, in questo fotografo americano sessantaduenne, assume un’importanza spesso soverchiante, rispetto alla stessa cronaca, tanto sono perfette le composizioni e armonici i colori, nonostante la drammacità dei contesti, che comprendono anche l’attacco alle Torri gemelle del 2001 e l’invasione del Kuwait del 1991.
Steve McCurry non è uno di quelli che coglie l’attimo. Le sue opere sono anzi molto curate. A cominciare dai ritratti. «Ho imparato a essere paziente. Se aspetti abbastanza, le persone dimenticano la macchina fotografica e la loro anima comincia a librarsi verso di te», ha spiegato questo reporter visivo pluripremiato, perennemente in viaggio, «perché già il solo viaggiare e approfondire la conoscenza di culture diverse, mi procura gioia e mi dà una carica inesauribile».
La mostra comprende oltre 200 fotografie, scattate nel corso degli oltre 30 anni della sua straordinaria carriera, insieme ad alcuni lavori più recenti, come il progetto “the last roll” con le 32 immagini scattate in giro per il mondo, utilizzando l’ultimo rullino prodotto dalla Kodak; gli ultimi viaggi in Thailandia e in Birmania ed una selezione di foto scattate in Italia per festeggiarne il 150° anniversario, di cui una buona parte a Roma, città che sembra attrarre McCurry soprattutto per le molte statue che la popolano.
L’unica nota negativa va attribuiita alle didascalie, disposte in modo che risulti un’impresa associarle, di volta in volta, alle rispettive immagini. È solo per questo che non abbiamo potuto assegnare un punteggio pieno a questa mostra, che invece è assolutamente da non perdere, nello splendido – ancorché sinistro – spazio della Pelanda, originariamente dedicato alla scuoiatura di maiali.
Recensione di Paolo Subioli