Roma, Libreria Rinascita, 27 novembre 2010
Un quarto di secolo, a volte anche quasi trent’anni. Questo è il tempo trascorso dalla nascita, la crescita ed il declino della new wave, non solo anglosassone ma anche europea ed italiana. Da qualche anno pubblico e critica hanno riscoperto gli eighties -così come sempre ciclicamente avviene con tutti i generi, i movimenti musicali e le mode del passato- ma sembrano aver dimenticato un aspetto della musica e più in generale del costume di quel periodo che non andrebbe assolutamente trascurato, che anzi sarebbe doveroso riscoprire e valorizzare e cioè il fermento culturale generato in Italia dalla New wave.
In questa direzione si sono recentemente mossi sia Pierpaolo De Julis, autore di un documentario pubblicato nel 2009 in DVD e dedicato all’argomento, sia l’etichetta toscana Spittle Records, che ha incentrato il proprio catalogo alle ristampe di materiale dell’epoca, a volte addirittura assolutamente inedito su CD.
L’occasione per parlare di questi due importanti progetti si è presentata grazie all’iniziativa della Libreria Rinascita di Viale Agosta a Roma, sempre attenta nelle proposte culturali legate a doppio filo ad attività multimediali, come già in passato da noi testimoniato all’epoca dello spettacolo ‘In punta di piedi’dei Dulevànd.
‘Crollo Nervoso’
è il documentario di cui è stata proiettata in libreria un’ampia sintesi ad apertura della serata ed in cui rare immagini di quel periodo sono alternate ad interviste ai protagonisti realizzate ai giorni nostri.
La ricerca effettuata da De Julis si rivela essere molto attenta e meticolosa ed offre una panoramica piuttosto ampia delle differenti anime che contraddistinguevano la scena musicale alternativa di quel periodo. In un’epoca ancora lontanissima dalla globalizzazione, infatti, i fenomeni erano contraddistinti da un ambito molto locale e circoscritto nel territorio, al punto da poter distinguere le correnti e gli indirizzi proprio in base alla collocazione geografica: tra le altre viene infatti ricordata la scuola bolognese (Gaz Nevada, Windopen e Skiantos) che fece un po’ da avanguardia del movimento, così come avvveniva negli stessi anni a livello di politica giovanile, e dove nacque la prima storica etichetta discografica indipendente, la Italian records.
Altre e diverse correnti nacquero in varie città d’Italia, ma nessuna raggiunse le vette creative e di successo di Firenze, dove attorno allo storico locale Tenax si sviluppò un percorso artistico del quale le tracce maggiori sono tuttora presenti, grazie a band come i Diaframma ed i Litfiba. Il documentario lascia che siano gli stessi artisti dell’epoca a raccontare la loro esperienza; ecco quindi le preziose testimonianze di Piero Pelù, di Federico Fiumani, di Massimo Zamboni, dei Bisca, per parlare dei musicisti arrivati poi al successo, alternate a quelle di altri, appartenenti a band delle quali si sono perse le tracce, come gli Art Fleury, i Moda o i Pankow. Il documentario si rivela particolarmente ricco di immagini di repertorio, nelle quali l’ingenuità di alcuni progetti si alterna a geniali episodi di grande valenza culturale di cui vale la pena ripercorrere i tracciati.
Filo conduttore e coordinatore del valido progetto è il giornalista Federico Guglielmi al quale va anche dato il merito di aver riscoperto gli Illogico e quindi spinto la Spittle alla pubblicazione del CD della band, la cui presentazione ha costituito l’ossatura della seconda parte della serata in libreria.
Come già da noi anticipato in occasione della recensione di Requisiti, gli Illogico si sono riuniti a venticinque anni dal loro scioglimento appositamente per questo showcase di promozione dell’album. Il ritorno al live della storica band romana è stato preceduto dalla performance di Tonino Amendola, ex vocalist e sassofonista della band che ha preferito esibirsi a solo piuttosto che dividere il palco coi vecchi compagni d’avventura, dando vita ad una performance di poesia sonora inizialmente piuttosto scialba e di difficile lettura che ha preso corpo col passare dei minuti fino a ricordare (in verità molto alla lontana..) certi studi di ricerca vocale del compianto Demetrio Stratos. Alcuni problemi di carattere tecnico hanno impedito agli Illogico di iniziare il proprio set con un’allettante rilettura de L’Urlo, manifesto della Beat Generation, in cui alla voce originale di Allen Ginsberg si sarebbero sovrapposte immagini montate in funzione di un’improvvisazione musicale. Peccato, perchè sarebbe stato un ottimo rinforzo alla breve seppur intensa scaletta di soli cinque brani preparati per l’occasione.
Lo scarno concerto ha risentito certamente della ruggine che si è abbondantemente depositata sui componenti della band ed è stato indubbiamente condizionato dall’assenza di un vocalist che ha costretto gli Illogico ad una performance quasi esclusivamente strumentale, in cui il tema delle canzoni veniva riprodotto dal trombone di Peppe Rosa. Ciò non ha comunque impedito al pubblico di riassaporare dal vivo i piccoli gioielli di post-punk/funk/reggae artigianale che finalmente è possibile ascoltare su CD dopo anni di oblio: molto apprezzabili soprattutto 871-ZX e Mogadiscio, in cui l’alchimia del quintetto sembra rimasta la stessa degli esordi, solo un po’ infiacchita dagli anni di inattività. Gli amici ritrovati, i suoni perduti ma felicemente recuperati, stessa sincerità, immutato rispetto.
Recensione e foto di Fabrizio
[…] Negli anni ’80 i Diaframma hanno rappresentato l’incarnazione italiana (o meglio fiorentina) della New Wave inglese, assieme ai primi Litfiba, quando le due band giravano insieme l’Italia in tour, e sembravano destinate a un meritato quanto imminente successo commerciale. Questo fu vero per i Litfiba che, virando verso un rock più commerciale e meno denso di elementi esoterici rispetto alla musica degli esordi, ottennero un enorme riscontro di pubblico. I Diaframma ebbero invece un destino diverso: i loro primi album divennero dei classici del rock italiano (che non ne ha prodotti molti), ma la band fiorentina sembrò scivolare nell’oblio. Rimase il solo Fiumani, che è riuscito a portare avanti una carriera solista (continuando però a mantenere il marchio Diaframma) seguendo logiche produttive (e di distribuzione) che, se da un lato gli hanno concesso notevole libertà espressiva, dall’altro non gli hanno mai consentito di fare il salto verso il grande pubblico. E non è detto che sia stato un male. Federico Fiumani ha continuato per la sua strada quasi sotterraneamente, forte di un personalissimo talento poetico. La sua musica è underground, ma tutt’altro che inaccessibile: il nostro ha infatti regalato al misero panorama musicale italiano una notevole quantità di brani che, in un mondo più giusto, avrebbero sicuramente avuto miglior sorte commerciale. Difatti, il tratto caratteristico dei Diaframma è l’aver saputo fondere insieme (non sempre riuscendo appieno nella sintesi, a dire il vero) il rock’n’roll e il punk con elementi della musica leggera e cantautorale italiana. C’è anche un altro elemento da non trascurare: i Diaframma versione live valgono sempre il prezzo del biglietto, come sa bene chi non ha mai smesso di seguirli, e il concerto all’Alpheus di Roma non ha fatto eccezione. Niente di eccezionale (altre prove live sono state più convincenti), ma quando si ha un repertorio valido e onestà di fondo, il divertimento è assicurato. Per la verità il fiorentino non parte benissimo: la voce non è al top, e la chitarra non molto fluida. Lo accompagna un’onesta sezione ritmica, basso e batteria, che picchia il dovuto. A pezzi tirati in stile New Wave la band alterna i classici del passato (una scarna versione di Siberia viene proposta come secondo pezzo), riuscendo comunque a catturare il pubblico. “Verde”, “L’odore delle rose”, “Blu Petrolio”, un accenno di “Agosto”, vengono accolte con l’entusiasmo che meritano: il resto non è scuola, ma ritmo e assenza totale di autocompiacimento. Eppure la serata non riesce a decollare del tutto, e Fiumani se ne accorge, e lo ammette candidamente. Il pubblico cerca di rincuorarlo, lo incita, lo chiama per nome: “Federico, vai, Federico!” E allora si riparte con più convinzione: ci sono ancora la trascinante “Diamante grezzo”, “Caldo”, “I giorni dell’ira”; e qui Fiumani alza la voce: gridata da chiunque altro la frase del figlio degenere (“che dirà mia madre quando mi vedrà”) apparirebbe ridicola, ma qui suona semplicemente vera. Basso e batteria picchiano, e di pezzi ce ne sono ancora parecchi. “Gennaio” è un tritacarne, “Labbra blu” e “Tre volte lacrime” la struggente colonna sonora dei nostri amori falliti, “Fiore” il pezzo che si fa sentire agli amici che non conoscono i Diaframma (a costo di ripetersi: se fosse stata scritta da Vasco Rossi, l’avremmo sentita trasmessa alla radio per mille anni di seguito). I classici continuano ad alternarsi a pezzi meno noti, comunque tirati, ipnotici e mai noiosi, in pieno stile New Wave. Si arriva alla fine, è il momento dell’ultimo bis: il pubblico chiede a gran voce “Le Alpi”, e i Diaframma sentitamente eseguono. Si conclude così la serata: rimane il mistero (e il fascino) di una band che continua a suonare con convinzione quello che i critici definirebbero rock underground emergente… da ben ventisette anni! Se capitano nella vostra città, andate a sentirli: di sicuro vi divertirete, e ne uscirete con qualcosa in più. […]