Uno degli artisti più geniali di ogni tempo, Brian Peter George St.John le Baptiste de la Salle Eno, nato a Woolbridge (Gran Bretagna) festeggia il 15 maggio il suo settantesimo compleanno. Autentico guru della scena musicale, da almeno tre decenni, egli è stato il creatore della “Ambient Music”, e del “Glam Rock”, ma anche videoartista, filosofo della musica, scultore, cantante, produttore, geniale polistrumentista, teorico della cultura pop, ed uno degli inventori della “New Wave”, della “Dance Elettronica” e della “New Age”. Un gigante del nostro tempo, ha anche trovato il modo di produrre band fondamentali (Talking Heads, U2, Devo) rimaste nella storia del rock.
I suoi riferimenti musicali vanno ricercati nella musica contemporanea, da John Tilbury a Cornelius Cardew, e nel minimalismo, da John Cage, a Lamonte Young a Terry Riley. Sostanzialmente, però, la concezione di Eno fa sì tesoro di tutte quelle suggestioni sonore, ma le rielabora e le inserisce in un contesto multimediale.
L’importanza retrospettiva della sua attività artistica cresce costantemente nel corso del tempo: egli ha realizzato rivoluzionarie innovazioni nel modo di concepire la forma della canzone rock, e la sua figura è talmente complessa e piena di sfaccettature, che tuttora la musica è influenzata dalle sue geniali intuizioni e, presumibilmente, lo sarà ancora per decenni. Autodefinitosi “non musicista” rivendica la necessità di non sottostare ad alcun approccio tematico nell’ambito musicale, ma di spaziare liberamente tra i generi, da “geniali incompetenti”, manipolatori di synth e strumenti vari, in una feconda commistione di stili, ed in una ricerca continua ed incessante, ma rigorosa comunque nella realizzazione tecnica del suono.
In realtà la sua carriera artistica comincia con i Roxy Music, band capostipite del “Glam”, da cui viene ingaggiato come tecnico del suono, per diventare subito dopo addetto al sintetizzatore, con il quale produce effetti elettronici stranianti e originali nelle canzoni del gruppo.
Ben presto si lega a Robert Fripp, per la sperimentazione chitarristica (i cosidetti Frippertronics), generando una commistione tra gli arabeschi chitarristici del leader dei King Crimson e le sue invenzioni elettroniche, realizzando due album, affascinanti, ma incompiuti (“No Pussyfooting” ed “Evening Star”). Con la famosa tetralogia di “Here Come The Warm Jets”, “Taking Tiger Mountain (by Strategy)”,” Another Green World” e “Before and After Science”, rivoluziona la forma canzone rock, tra psichedelia, musica etnica, nenie giapponesi, music hall, in una geniale commistione di generi che vede coinvolti anche Phil Manzanera e Robert Wyatt.
Forse il culmine della tetralogia è “Before and After Science”, album futuribile, concepito in gran parte in Germania, dove l’Autore ha soggiornato a lungo con Fripp e Bowie (dalla collaborazione con Bowie nascerà la epocale trilogia berlinese), respirando l’atmosfera sperimentale e decadente di quegli anni, avvalendosi per la realizzazione di esso di Cluster, Fripp, Fred Frith, Manzanera. Così dal ballabile etno-esotico, si passa ad una ridefinizione creativa della canzone elettronica.
Con questo capolavoro, Eno inventa una sorta di “meta rock”, dove la figura del produttore si compenetra con quella dell’artista, che entra nello studio non più per eseguire i brani ed immortalarli nell’esecuzione dal vivo, ma per dipingere i suoni, esattamente come farebbe un pittore. Il produttore assume uno stand di artista, cambiando radicalmente la storia della musica popolare.
Ma ormai, fondata la etichetta Obscure, l’Autore punta dritto verso l’Avanguardia, raccogliendo in essa diversi talenti. Si compie così l’album “Discreet Music”, opera composta di un brano programmato, lento, suggestivo, in cui l’artista interviene con piccolissime variazioni di suono, con tocchi vellutati, portando alle estreme conseguente l’attività svolta con i Cluster. Eno realizza strutture minimali del suono, lente e graduali, il riferimento a Ligeti e LaMonte Young è palese, ma viene radicalizzato. E’ l’ascoltatore che può determinare con il suo umore, con la sovrapposizione di altri suoni, la qualità della musica; egli può esserne coinvolto o persino ignorarla, dando rilievo a suoni ambientali che prevalgono sulla struttura della stessa.
“Music for Films” diventa un collage di frammenti strumentali che lega miniaturismo rock alle intuizioni della musica discreta.
Ma è con “Music for Airports” che il concetto viene portato alle conseguenze più estreme: Coadiuvato da altri musicisti sperimentali (Harold Budd, Jon Hassell) Eno vuole portare avanti il progetto di “musica per ambienti”, da fruire nella vita quotidiana, come colonna sonora della vita stessa, per esempio in una sala di attesa in aeroporto, o in un supermercato. L’ambiente è determinante per l’ascolto, così come lo stesso ascolto si modifica se la musica proviene da uno stereo di qualità o da uno difettoso. E’ una vera rivoluzione del concetto di creazione musicale, e di fruizione della stessa, dove il rapporto con chi ascolta si risolve in una alternanza di silenzi, frasi di piano e synth, in una dimensione sonica astratta, lenta, pittorica, mentale, che vuole indurre nell’ascoltatore serenità e speranza. Ma la percezione è prevista per ogni ambito, mutevole, adattabile alle esigenze ed agli stati d’animo. Forse solamente i Can di Future Days (1973) avevano in qualche modo anticipato questo tipo di realizzazioni.
Ma la musica ambientale di Eno è in continuo divenire, e ciò viene rappresentato molto bene dai due album successivi, che introducono elementi realmente psicoanalitici, quasi realizzando una forma di musica “psico-ambientale”. Ci riferiamo a “On Land”, ove il ritmo è totalmente assente, ove la musica appare solamente una commistione di echi e vortici dilatati nel tempo: un suono scarno, in cui prevale una dimensione elettronica profondamente ipnotica: può incutere terrore (la lontana eco della forza della natura, un minaccioso uragano), rassegnazione, senso di incombente tragedia, in una attesa spasmodica di qualcosa che può avvenire.
“Apollo”, invece, è la colonna sonora di una esplorazione cosmica, la sensazione psichica di un uomo che si trova nello spazio, mentre fluttua senza peso, mentre osserva la lontana superficie terrestre, mentre si inabissa nello spazio profondo.
“Thurday Afternoon” approfondisce le tematiche di “Discreet Music”, ma, nel periodo, più interessante risulta il progetto con David Byrne che dà vita allo splendido “My Life in the Bush of Ghost”, anticipatore della “World Music” d’autore, sperimentale, vera opera di “Art Rock”. Ciò avviene nell’ambito della collaborazione con gli altri artisti sperimentali della Obscure, ed anche grazie alla scoperta di nuovi talenti (l’autore è, non a caso, il padrino di Ultravox, Talking Heads, Devo e della No Wave di Lidya Lunch, James Chance ed Arto Lindsay.
Con la creazione di tutti questi capolavori, Brian Eno crea le premesse per la musica del futuro, per tutte le musiche senza confini. Egli, nella sostanza, negli anni 80, diventa un guru, un ideologo del rock, un messia itinerante dell’avanguardia e delle nuove tendenze, Molti musicisti fanno a gara a cointestare i propri lavori (dove al più aveva svolto un ruolo puramente produttivo) con lui, per fini commerciali.
Ciononostante, bisogna però dire che la sua vita artistica è stata sempre coerente, portando l’esperienza musicale dal mero consumo all’avanguardia.
Partito da fonti tanto lontane tra di loro, come la psichedelia, il music hall e la muisica concreta, Eno perviene ad una geniale sintesi creativa di avanguardia e sottocultura pop. La World Music, la New Age, l’Avanguardia e la Sperimentazione devono moltissimo a lui. Certamente una tale invenzione creativa e genialità non può durare per sempre, ed infatti negli ultimi venti anni assistiamo ad una sostanziale stasi creativa. Vengono creati da lui eventi come le installazioni sonore (splendido il giardino musicale allestito presso gli Orti di Trastevere verso la fine degli anni ottanta, che avemmo modo di visitare, ma ha realizzato installazione di videoartisti e sonorizzazioni ambientali anche negli ultimi anni), mentre la videorte trova attraverso di lui espressione sempre più completa. Confermando di aver perso buona parte del suo genio compositivo, Eno nel 2005 pubblica “Another Day On Earth”, composto da una serie di ballate deboli e meditabonde. Un suono glaciale caratterizza le ultime composizioni (anche se “Drawn for Life”, composto con Peter Schwalm, rappresentato egregiamente nel 2002 in un concerto all’Auditorium, cui assistemmo) esprime ancora lampi di genio. Ma “Lux” del 2012, il primo album solista dopo “Another Day on Earth” è fiacco ed inconsistente; il tocco magico di “Discreet Music” e “Neroli” (cui l’opera vorrebbe apparentarsi) è scomparso. Ad una prima parte dove pianoforte e violino hanno modo di brillare ne segue una seconda composta di droni stonati e quasi inutilmente dissonanti. Ma con “The Ship” (2016) l’Arte dell’Autore ritorna parzialmente a risplendere, forse per la fascinazione che il tema della nave ha sempre esercitato su di lui, come non-luogo di continuità e distacco dalla dimensione terrena (e forse si vuole rappresentare la nave della storia, simbolo dell’addio a Bowie e del ritorno ai Velvet Underground). Un viaggio comunque verso quel mondo “senza suono” vagheggiato per quarantanni. E “Reflection” (2017) tenta di ridefinire il concetto di “musica ambientale”, come se tutto fosse stato già detto, come se la dimensione della interazione ambientale tra percezione della persona e cosa non avesse più senso, nell’abbandono di qualunque elemento immaginifico (l’aeroporto, il supermarket) sempre più in viaggio verso l’assenza, come se le impalcature sonore fossero destinate a cerchi concentrici, sempre più radi, in viaggio verso il Silenzio.
Non resta che augurare a questo genio dell’Arte Moderna una lunga vita, in cui la sua creatività torni pienamente a risplendere esprimendo le sue splendide sculture sonore, certi che la sua Opera attraverserà comunque i secoli.
Profilo di Dark Rider