Bowie e me
Mi colpisce come un pugno questa notizia. Eppure non è uno che ho mai seguito assiduamente, ma in ogni fase della mia vita lui c’era. È lui che ha seguito e accompagnato me. Non l’ho mai capito nell’immediato, ma alla distanza. Perché lui era sempre e comunque avanti. Nonostante abbia attraversato tutte le epoche e gli stili, lo ha fatto sempre a modo suo. Con classe. La stessa con la quale ora ci ha lasciati. In silenzio e con l’ennesimo capolavoro. E io oggi mi ritrovo ad ascoltare quei brani che inevitabilmente sono diventati colonna sonora della mia esistenza.
Claudia G.
L’abisso fascinoso che abbiamo davanti
Cosa possiamo dire? La morte del Duca Bianco ci ha sorpreso e profondamente addolorato; percepiamo quel senso di perdita e di sgomento che avvertimmo alla scomparsa di John Lennon, di Joe Strummer, o di Lou Reed, anche se questi artisti sono così diversi tra di loro. Ma, sia pure a fatica, dobbiamo vincere l’emozione e ricordare che Bowie è uno dei rappresentanti più geniali, più intensi, obliqui e profondi che la cultura e l’immaginario postmoderno abbiano mai prodotto. David Bowie è una figura camaleontica, un’icona di stili e generi diversi; non a caso egli si forma nell’incontro con Lindsay Kemp e con la cultura fantascientifica di Stanley Kubrick: prendono così vita le sue creature, l’immaginifico eroe spaziale Glam Ziggy Stardust, il musicista inquieto, cupo ed epocale della Trilogia Berlinese, che rifonda, insieme a Brian Eno, la moderna musica elettronica, il detective gotico di “1.Outside”, che urla il suo sgomento per raccontare l’orrore indicibile, il leggero rappresentante disco di Let’s Dance”. Ci vengono in mente le sue interpretazioni cinematografiche, l’inquietante alieno de “L’uomo che cadde sulla terra” l’ufficiale australiano di “Furyo”, del geniale Naghisa Oshima, che descrive l’orrore della cultura militarista. Ripensando a questo genio immortale dell’Arte Contemporanea, fortemente intriso di Futurismo, ci vengono i brividi, come fossimo di fronte ad un Leonardo Da Vinci della nostra epoca. E’ impossibile pensare noi stessi, il nostro rapporto con la cultura, con il mondo attuale prescindendo da questa figura fantasmatica, multiforme, sfuggente. Guardandola, vediamo come in uno specchio lacaniano noi stessi, il nostro immaginario, l’abisso fascinoso che abbiamo davanti, qualcosa che ci atterrisce e ci attrae contemporaneamente.
Dark Rider
L’Artista Diverso
Se tra cinquecento anni alla musica pop spetterà ancora un posto nella Storia dell’Arte nessun volto potrebbe meglio rappresentarla di quello di David Bowie: genio pazzesco e incatalogabile nel suo perpetuo e indecifrabile equilibrio tra radicale trasgressione e stile raffinato, con la forza enorme della sua figura ha dato un posto nel mondo ai diversi di ogni sorta e un’ispirazione continua ai non allineati. La sua musica sempre universalmente comprensibile ma mai banale, ha detto che sì, “it’s only rock’n’roll”, ma può e deve stare in mezzo alle più alte forme della creatività umana contemporanea. La sua discografia è un raro esempio di infinita reinvenzione di se stessi, di colta curiosità verso il nuovo e di classe indiscutibile anche nei lavori meno digeribili. Ed era bellissimo, a vent’anni come sulla soglia dei settanta, così come lo erano la sua voce inconfondibile e la magnetica eleganza dei suoi movimenti sul palco.
Il mio Bowie è quello dell’inarrivabile epopea di “Ziggy Stardust and The Spiders From Mars” (inimmaginabile nel contesto volatile di questo decadente ventunesimo secolo), quello di Life On Mars? e Space Oddity, dei duetti con Mick Ronson in “Hunky Dory” e “The Man Who Sold The World”, del tripudio di idee tra Eno, il kraut e Fripp nella trilogia berlinese. Ma anche il Re Mida che sta dietro le quinte di “Transformer” di Lou Reed o “Raw Power” di Iggy & The Stooges.
Lo space invader ha realizzato l’ultimo capolavoro con la sua definitiva uscita di scena, essa stessa “a work of Art”, nelle parole del suo storico produttore Tony Visconti. Non si può dire che chi ha impresso sulla Terra un’impronta del genere lasci un vuoto, piuttosto è vero il contrario, ma David Bowie era uno di quei pochi che per qualche attimo davvero sono sembrati immortali. Invece ne restano sempre meno, e chissà quanto bisognerà ancora aspettare prima di vedere un altro personaggio di paragonabile grandezza.
Andrea Carletti
Un presagio
How many times does an angel fall?
How many people lie instead of talking tall?
He trod on sacred ground, he cried loud into the crowd
“Blackstar”: un lavoro denso di presagio, del quale solo oggi possiamo afferrare il significato. Ci sono battaglie che non si vincono ma se c’è qualcuno che è riuscito, in questi anni appiattiti, a fare della propria vita un’opera d’arte completa questo è lui, il Duca Bianco, unico e autentico Dorian Gray della storia del rock. Non c’è molto altro da dire, le parole scorreranno a fiumi in questi giorni, quello che resta è la musica.
Ludovica Valori
Un marchio indelebile
Il brano “Blackstar” mi aveva e mi ha intimamente turbato, disturbante sempre più ad ogni ascolto, come se Bowie volesse ancora una volta mettere il suo marchio sui tempi che corriamo. E c’era riuscito, come sempre. Scrivo ancora con molta confusione in testa e nell’animo, Bowie ha accompagnato sempre la mia ricerca musicale e umana, senza essere mai una influenza maggiore per le canzoni che scrivo. Ma quel concerto segreto dei Tin Machine al Waterfront di Dublino rimarrà sempre nella mia memoria. Camaleontico, raffinato, straziante, energico, semplicemente Bowie.
Fabrizio Fontanelli
Still Bowie
Così Bowie si è presentato alla soglia dei miei 14 anni, una enorme gigantografia che troneggiava nel bagno extra lusso della mia compagna radical; un Bowie immenso ed inquietante, sguardo istrionico e sarcastico. Un accostamento che trovavo dissonante, ma quella casa riusciva a coniugare perfettamente un pugno chiuso in un immenso ed elegante salotto, una gigantografia di Bowie ed un barboncino old england in terracotta. Nel mio allora modesto panorama musicale e letterario quella casa, quella foto e l’ascolto della musica di Bowie fino a tarda notte, erano un invito ad osare, ad andare oltre il convenzionale. Far above the Moon … hope to meet you black star.
Lisa
David Bowie is…
Un anno fa ho visitato la splendida mostra “David Bowie is”..ecco ci vorrebbe una cosa del genere per raccontarlo al meglio. Conosciuto con l’uscita di “Let’s Dance”, Amato con Furyo e Miriam, Riscoperto con Space Oddity e Ziggy Stardust, Invidiato per il suo fascino puro, Riconosciuto come uno dei grandi dell’arte contemporanea a tutto tondo, colui che ha respirato e interpretato l’humus culturalis di ogni epoca che ha vissuto nei luoghi giusti e nei tempi perfetti. Ciao Dave.
Life’s but a walking shadow, a poor player That struts and frets his hour upon the stage And then is heard no more. It is a tale Told by an idiot, full of sound and fury, Signifying nothing.
Magister
Una questione di stile
Ascoltando un brano dall’album/epitaffio “Blackstar” (uno qualsiasi, fate voi), tra le mille considerazioni che si possono fare, vorrei semplicemente sottolineare che, anche nel momento di uscire di scena, David Bowie ci ha impartito una grande lezione di stile. Sapeva di avere i giorni contati, ci ha voluto lasciare con un testamento chiaro ed inequivocabile, ricordandoci che essere avanti a tutti non significa allontanarsi dagli altri, che dopo aver sorpreso tutti per decenni inventando sempre nuovi ed unici modi artistici di mostrarsi, proprio ora quando tutti si preoccupano di apparire sempre e comunque e riempirsi la bocca di inutili parole, lui è riuscito a sparire avendo avuto fino all’ultimo qualcosa di importante da dire.
Fabrizio Forno
Grazie di aver condiviso i vostri sentimenti per la perdita di Bowie…
E’ bello leggervi così come lo è ricordarlo.