Un giorno questo dolore ti sarà utile, di Roberto Faenza, con Toby Regbo, Ellen Burstyn, Marcia Gay Harden, Peter Gallagher, Lucy Liu, 98 min. – USA, Italia 2011.
Un giorno questo dolore ti sarà utile è il ritratto della New York di oggi, raccontato attraverso gli occhi del giovane James e della sua squinternata famiglia. La madre Marjorie ha una galleria d’arte dove espone bidoni della spazzatura. Colleziona mariti: ha appena abbandonato il terzo, Mr. Rogers, un giocatore compulsivo, durante la luna di miele a Las Vegas. Il padre Paul esce solo con donne che potrebbero essergli figlie. Al contrario, la sorella Gillian ha una relazione con il suo professore di semiotica e non riesce a innamorarsi di uomini che non abbiano almeno il doppio della sua età. Intanto già prepara le sue memorie, sicura che saranno un best seller. Solo Nanette , la nonna enigmatica e anticonformista, riesce a comprendere lo spaesamento di un diciassettenne inquieto alla ricerca dell’ identità, sullo sfondo di una New York ricca di personaggi sconcertanti.
Tratto dall’omonimo libro di Peter Cameron il film è il racconto fatto in prima persona dal protagonista, delle sue articolate e controverse relazioni affettive con l’umanita che lo circonda. Una umanità da cui lui vuole fortemente differenziarsi. Suo compagno inseparabile il cagnolino di casa e sua principale confidente la nonna. Ecco come lui stesso si presenta: “Ho 17 anni e non amo molto parlare. Sono un anarchico, odio la guerra, la politica e la religione organizzata. I miei dicono che sono un asociale perché non voglio andare all’ università. Non ci voglio andare perché non voglio essere indottrinato. Mi bastano le idee che ho. Amo leggere e passare le giornate in campagna da mia nonna. Per questo sarei un disadattato?”
A mio parere in questa storia, così come la vediamo trasposta nel film, non c’è una forte espressione di trasgressione o addirittura di nichilismo come nel “Giovane Holden” di Salinger, quanto la richiesta del protagonista ad essere lasciato in pace, una richiesta fatta molto sottovoce. Il protagonista in fondo, ha un cuore compiacente, dona se stesso alla famiglia anche se con un apparente biasimo, ma ne è totalmente imbrigliato anche se incosapevolmente. Ama in modo profondo e vuole essere amato pur isolandosi dal pensiero che lo circonda, che però non è un pensiero unico e collettivo. Ogni personaggio con cui lui si relaziona, ha una identità, un pensiero, uno stile di vita propri non meno stravaganti del suo, ma nemmeno meno normali. Tutti loro rappresentano ognuno a suo modo, l’ordinaria umanità moderna, schiava dell’apparenze, della fama e affamata di amore. Cosa c’è di più normale? L’unica via alla trasgressione sembra essere il sua rifiuto di andare all’università, la poca frequentazione coi coetanei, o almeno con una parte e qualità di essi. Sono richieste fisiologiche ma anche ordinarie e penso anche condivise da molti adolescenti. Il film in fondo è un film sull’uso della ragione e sulla capacità di discernimeto utilizzando il cuore, esercitando l’amore e una sana ironia, che poi è un modo per non prendersi troppo sul serio.
Recensione di Costance