Tony Manero, regia di Pablo Larrain. Con Alfredo Castro, Hector Morales, Amparo Noguera, Paula Lattus, Elsa Poblete. Produzione: Brasile,Cile: 2008.
Musiche: The Bee Gees, Juan Cristobal Meza, Josè Alfredo Fuentes, Frecuencia Mod
Una storia dura e terribile questa del cileno Larrain, vincitore del Torino Film Festival, che rievoca e descrive, sia pure in maniera indiretta ed impolitica, la Santiago del 1978, soffocata dalla dittatura del Generale Augusto Pinochet.
Vi si racconta la storia dell’aspirante ballerino Raùl (Alfredo Castro), travoltino contagiato dalla Febbre del sabato sera, la celebre pellicola di John Badham che a quell’epoca fece tendenza contribuendo a creare in tutto il mondo nuovi stili di vita.
Raùl è una persona deprivata totalmente di senso morale; contagiato da una strana febbre omicida, uccide senza ragione, o per pochi soldi, le vecchiette o chi capita, al fine di mettere insieme un gruzzolo sufficiente a far cambiare le assi della pedana ove si allena per tentare di sfondare nel mondo del ballo.
Ed ugualmente sordido è l’ambiente attorno a lui, in un bar di terz’ordine nella degradata periferia di Santiago, deserta e allucinata, ove ogni tanto qualche presunto oppositore viene ucciso dalla polizia politica di passaggio ed abbandonato in un fosso.
Raùl ha una stanca relazione con una donna, della quale concupirà anche la figlia, senza alcuna passione. Non c’è umanità nell’agire di quest’uomo, non ce n’è nelle strade della metropoli, ove il sospetto e la solitudine regnano sovrani. Egli si limita a seguire e a tentare di ripetere le mosse del suo idolo americano, vedendo e rivedendo in un piccolo cinema il film che ha lanciato la moda, con l’intenzione di emularlo, anche nel linguaggio, e di vincere una gara nell’ambito di uno spettacolo di varietà presso una televisione. Parteciperà, infine, alla gara ed arriverà secondo, meditando propositi di vendetta nei confronti del vincitore.
Concepito con uno stile aspro e asciutto, con pellicola sgranata, quasi di matrice underground, il film è volutamente sgradevole; l’atmosfera di degrado psichico e fisico è ottimamente realizzata, quasi che il regista, nel descrivere i falsi miti e l’idiozia televisiva, provasse autentico disgusto; viene in mente la lucidità di un Fassbinder unita alla capacità descrittiva di ambienti degradati di certo underground americano, stile Paul Morissey. La Santiago di Larrain, peraltro, ricorda fortemente la livida palude di tanti inferni pasoliniani. L’opera ha certamente un efficace e straniante impatto sullo spettatore, portato a riflettere su come una terribile dittatura possa interagire con lo spirito umano e depravarlo, portando alla luce la patologia ed i più bassi istinti dell’essere umano.
Recensione by Dark Rider