Sulla mia pelle, di Alessio Cremonini, con Alessandro Borghi, Max Tortora, Jasmine Trinca, Milvia Marigliano. Italia 2018, durata 100 minuti
La discesa di Stefano Cucchi nella livida palude da cui uscirà privo di vita è realizzata da Alessio Cremonini con estremo rigore, quasi documentaristico. Poche volte, e da molto tempo non avveniva, è apparso un film italiano che costituisce un vero e proprio pugno nello stomaco dello spettatore.
L’ultima settimana di vita del giovane è descritta in maniera dimessa, una quieta discesa agli inferi minuziosa, rappresentata mirabilmente. Sono descritti gli ambienti desolati, caratterizzati dalle scadenze quotidiane della vita carceraria, i rapporti con il personale di custodia, gli incontri con gli organi di polizia, i carabinieri, gli infermieri, i medici; in tutto circa 140 persone, in quei giorni videro Stefano. Alcuni più attenti, altri più frettolosi e superficiali, ma nessuno sembrò comprendere il dramma che viveva il ragazzo, che passava da impulsive denunce sulle botte subite, a subitanee ritrattazioni, rifugiandosi in una dolente, quieta rassegnazione. Come se non si ritenesse degno di essere preso in considerazione, o desse per scontato che lo stato era troppo distante da lui, dalle sue vicende drammatiche esistenziali, dai suoi errori.
Quello che più colpisce, nel film, è l’adesione di Alessandro Borghi al personaggio, attuata con una stupefacente trasformazione fisica (ha perso 18 chili), ma c’è qualcosa di piu’: l’adesione completa, profonda all’odissea del protagonista, quasi un desiderio di rendere giustizia a chi non l’ha avuta. Al punto che la sorella, Ilaria Cucchi, la Antigone dei nostri tempi, che con le sue coraggiose battaglie civili ha fatto riaprire il processo, ha detto all’attore che, incredibilmente, era diventato uguale a Stefano, non solo nelle movenze, ma persino nella voce.
L’interpretazione di Jasmine Trinca è misurata, mai sopra le righe, non nasconde la disapprovazione per la vita del fratello, ma poi, dopo la sua morte, si batterà come una leonessa per avere giustizia. E parimenti appare credibile, sommessa e sospesa l’interpretazione dei due genitori, Max Tortora e Milvia Marigliano, sgomenti di fronte ai numerosi tentativi di far visita a Stefano, costantemente frustrati da una burocrazia kafkiana ed incomprensibile.
Il film, che sposa il punto di vista della famiglia, e la loro denuncia di un pestaggio delle forze dell’ordine come causa principale della morte, con sobrietà, e dopo un severo studio degli atti processuali già noti, e tenendo conto che l’attività processuale è tuttora in corso, ridà dignità al dolore di Stefano Cucchi, attraverso la eccellente recitazione di Alessandro Borghi, quasi sempre disteso su di una branda in una cella, o in un letto d’ospedale; una recitazione tutta in sottrazione, difficile, straziante, totalmente in sintonia con il calvario fisico ed esistenziale del protagonista. Un’opera profondamente umana, che non si limita a denunciare ingiustizia, ma intende insinuare nelle coscienze dei molti che hanno sempre ritenuto che in fondo Stefano era un tossico, e se l’è andata a cercare, un barlume di verità e di umanità.
L’opera ha anche momenti di aspra intensità, come quando all’ udienza di convalida dell’arresto, quando il giudice neanche si accorge di quel viso tumefatto, per un breve momento, Stefano vuole abbracciare il padre. Cremonini non conferisce a Cucchi un’aura di santità, non ne fa un eroe senza macchia, simpatico ed accattivante, come un personaggio hollywoodiano, anzi ne descrive debolezze e abitudini di vita certamente non positive, e questo rende il film molto autentico e credibile.
I sette minuti di applausi alla Mostra del Cinema di Venezia, il tam tam sui social, e la straordinaria partecipazione alle prime proiezioni del film, in particolare una tenutasi all’Università La Sapienza di Roma di fronte alla commossa partecipazione di duemila persone, lasciano sperare in un sussulto di coscienza democratica e civile nel paese.
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