Regia di Martin Scorsese. Con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Patricia Clarkson, Max von Sydow.
138 min. – USA 2010. VM 14
Premessa: se ancora non avete visto il film non leggete né questa, né altre recensioni. Andate prima al cinema e fidatevi del fatto che un film di Scorsese va visto comunque perché, pure se risultasse il suo peggior lavoro, sarebbe sicuramente uno dei migliori tra quelli in programmazione.
Detto ciò andiamo avanti.
La storia narra di una coppia di agenti FBI Teddy Daniels e Chuck Aule (Leonardo DiCaprio e Mark Ruffalo), chiamati ad indagare su una fantomatica sparizione di una detenuta pluriomicida dal manicomio criminale di Ashecliffe, situato su di un isola a largo di Boston, Shutter Island. La struttura è gestita da uno psichiatra, il dottor Cawley (Ben Kingsley) figura che appare allo spettatore, come ai due investigatori, a tratti riflessiva e rassicurante, a tratti ambigua ed inquietante. Come del resto tutto il personale dell’istituto che sembra nascondere ben altri segreti, a quanto pare custoditi anche dagli stessi pazienti i quali, trincerati dietro il loro disagio mentale sembrano invece lucidissimi complici, tasselli consapevoli di un meccanismo ben più grande di quello che dovrebbe apparire. In un crescendo di tensione, la trama si infittisce come una ragnatela che invischia l’agente Daniels e lo coinvolge oltre misura, scardinandone l’ordine mentale e la logica investigativa, e lasciando il campo alle proprie angosce interiori, causate da un passato segnato da enormi traumi personali. In quest’atmosfera di pathos crescente ci avviamo al colpo di scena finale che, pur se non giungendo del tutto inaspettato, si rivela come l’unica conclusione possibile.
Tratto dal romanzo di Dennis Lehane, cui il cinema ha già attinto con Mystic River e Gone baby gone, questo thriller dalle atmosfere gotiche che, per stessa ammissione del regista, si ispira al cinema manierista tedesco dei primi anni ’50, esce dalle solite corde di Scorsese ma allo stesso tempo conserva molte caratteristiche del suo lavoro. Egli non cerca di catturare lo spettatore con il thriller fine a se stesso, piuttosto l’intento sembra quello di metterlo costantemente di fronte all’orrore e alla follia letta come ennesima visitazione della violenza, quella della psiche oltre che fisica. Non abbandona mai il realismo quindi, neppure nel percorso onirico dei corto-circuiti mentali.
La splendida fotografia, opera del grande Dante Ferretti, ci immerge in un paesaggio perfettamente consono alle situazioni, dalle cupe seppur raffinate atmosfere degli interni, alla violenza dirompente degli esterni in un’isola che, anche meteorologicamente, sembra ribellarsi a tutte le regole e vivere di vita propria.
Infine per chi, come me, trova Leonardo DiCaprio inviso più per riflesso delle “titaniche” fan adoranti che per vero demerito da parte sua, dobbiamo constatare che il nuovo attore di riferimento del regista segna un altro punto a suo favore e si conferma maturo, espressivo e versatile, seppur mai paragonabile al De Niro dei tempi d’oro (quello di Taxi Driver per intenderci) ma nemmeno a quello di Cape Fear dove la sua luciferina interpretazione regge l’impianto di tutto il film, nonostante la trama in sé offrisse molti meno spunti di questa.
Insomma, sono due cose troppo diverse per poterle mettere a confronto, come del resto la nuova produzione con i capolavori passati del regista, pietre miliari nella storia del cinema, vertici impossibili da raggiungere per chiunque, oggi probabilmente anche per Scorsese stesso.
Recensione di Claudia Giacinti
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