Polar, Scritto da Jayson Rothwell, Diretto da Jonas Åkerlund. Con Mads Mikkelsen, Vanessa Hudgens, Matt Lucas, Richard Dreyfuss. Produzione: USA, Germania, 2019. Durata: 119’.
Duncan “Black Kaiser” Vizla (Mads Mikkelsen) è un killer su commissione facente parte dell’organizzazione criminale chiamata Damocle. Prossimo al pensionamento obbligatorio visto l’imminente compimento dei cinquant’anni di età, Duncan si gode il ritiro dall’attività in una baita tra i boschi e le nevi del Montana. La sua unica compagnia è la vicina, una taciturna e insicura ragazza di nome Camille (Vanessa Hudgens) alla quale l’uomo sembra essere affiatato per qualche oscuro motivo. Duncan viene contattato per un ultimo lavoro e, riluttante, accetta. Durante l’assassinio scopre che in realtà si tratta di una trappola per far fuori lui in quanto il suo capo, Mr. Blut (Matt Lucas), ha deciso di eliminare tutti i killer in ritiro per non sborsare milioni di dollari di liquidazione. Sopravvissuto, Duncan torna a casa ma una squadra di assassini lo scova. Sopravvissuto ancora una volta il killer dichiara guerra all’organizzazione, specialmente dopo il rapimento di Camille avvenuto per mano di uno dei superstiti del team mandato ad ucciderlo.
Per quanto se ne possa dire, l’action è uno di quei generi cinematografici che va per la maggiore. Vuoi che sia il filone mainstream più votato al blockbuster, vuoi che sia quello più d’autore, il film d’azione trova sempre un ampio ed eterogeneo pubblico di spettatori: dal più smaliziato fino a quello più esigente. Eppure, lo stesso genere che ha saputo regalare capolavori come Trappola di cristallo e Arma letale (giusto per citare due titoli sempreverdi e nostalgici dell’indimenticabile decade degli anni Ottanta), se affidato nelle mani sbagliate può dar vita a un pasticciaccio brutto che, di conseguenza, porta a scimmiottare e denigrare i prodotti appartenenti all’action. Per fortuna non sempre è così e negli ultimi anni titoli come The Equalizer, John Wick, John Wick – Capitolo 2, Baby Driver e Red Zone hanno dimostrato come ci sia ancora tanto da dire. A questi, ultimo in ordine di arrivo, si va ad aggiungere l’inusuale e inaspettato Polar (2019).
Tratto dall’omonimo fumetto online e graphic novel di Victor Santos datata 2012, Polar potrebbe trarre in inganno lo spettatore proprio per il suo titolo: no, non è un’opera dedicata al genere del polar francese, nonostante il film diretto da Jonas Åkerlund ne recuperi molti stilemi (come il killer dal passato oscuro, solo e in cerca di redenzione, la presenza di una femme fatale, le location urbane cupe e sporche). Semmai Polar è un puro action che, dentro di sé, riesce a far convivere altri generi e sottogeneri come, appunto, il noir, il thriller e – soprattutto – il pulp. Inutile negare che Polar guarda al cinema pulp di Quentin Tarantino (in particolare a Kill Bill: Volume 1 e Volume 2) e di Oliver Stone (anche per la scelta cromatica di colori saturi e acidi che ricordano Assassini nati e Le belve): Polar vive e si nutre di un immaginario collettivo ben rodato ma facendolo suo, senza cadere nel plagio e scadere nel sapore stantio del già visto. In Polar la morte arriva dal freddo e ha le sembianze di Duncan Vizla, killer stanco a cui presta il volto il sempre magistrale (e – perché no? – inquietante) Mads Mikkelsen, un uomo glaciale ma capace di essere altruista, in cerca di redenzione e chiamato a dover riprendere in mano i ferri del mestiere (e qui le analogie con il John Wick dell’omonima trilogia sono inevitabili) per salvare se stesso e l’unica persona amica che conosce.
Nel lungo percorso di sopravvivenza e vendetta (difatti, non mancano le punte stilistiche da revenge movie) Polar dà il meglio di sé, scatenando una scarica di violenza e morte inaudite: il lungometraggio di Åkerlund è tutto tranne che un film tranquillo ma piuttosto un’opera action che abbonda di sangue, iperviolenza e brutalità. Non mancano di certo le letali shootout a base di headshots e casse toraciche ridotte a scolapasta, balletti di piombo e sangue che riportano alla mente John Woo ma anche tanto cinema sudcoreano (su tutti The Man From Nowhere), così come non è privo di furiosi combattimenti corpo a corpo in cui gli arti vengono spezzati, le braccia e i genitali sono inchiodati alle mura, i crani perforati da trapani, le teste vengono tagliate e gli avversari si trasmutano in corpi-bersaglio da abbattere in tutti i modi possibili e immaginabili. E in questa ondata di rossa emoglobina, Polar non si fa mancare neanche una lunga sequenza di tortura davvero difficile da sostenere e momenti di intermezzo più “tranquilli” con scene di sesso molto esplicite. Si potrebbe dire, a ragione, che ci si trovi di fronte a un film pieno di eccessi. Certo, Polar schiaccia il pedale dell’eccesso ma senza essere trash, kitsch o ridondante, pesando alla perfezione tutti gli ingredienti della ricetta e, così, ottenendo un prodotto davvero ben realizzato e iperbolico ma non pensato per gli stomaci deboli o i palati schizzinosi bensì per gli estimatori di lunga data dell’action più granitico e privi di qualsivoglia autocensura mentale e bigotta pronta a gridare allo scandalo. Tra sparatorie, iperviolenza, momenti grotteschi e black humour Polar è un film che scorre senza un attimo di noia (e di tregua) per tutti i suoi centodiciannove minuti di durata: corroborato dalla magnetica interpretazione di Mads Mikkelsen nonché dall’impianto scenotecnico (fotografia e montaggio di ottimo livello), l’opera di Jonas Åkerlund possiede tutti i crismi per diventare un vero e proprio cult tra cinefili e neofiti nella speranza di un potenziale (e possibile) capitolo II.