Padroni Di Casa di Edoardo Gabbriellini. Con Valerio Mastandrea, Elio Germano, Gianni Morandi, Valeria Bruni Tedeschi, Mauro Marchese, Alina Gulyalyeva, Francesca Rabbi, Lorenzo Rivola, Giovanni Piccinini. Durata 90 min. – Italia 2012.
Cosimo e Elia, due fratelli romani titolari di una ditta di bioedilizia, arrivano in un piccolo centro sull’Appennino tosco-emiliano per pavimentare la veranda della splendida villa di un noto e ormai anziano cantante di musica leggera, che li ospita per la durata dei lavori. L’uomo sta tornando sulla scena, divide la sua vita tra l’euforia dell’imminente concerto e il dramma della moglie gravemente ammalata e costretta sulla sedia a rotelle. Gli abitanti del luogo, mostrano subito un’aperta ostilità verso i due romani e non nascondono un profondo fastidio verso la popolarità del loro concittadino, tanto da trasferirlo anche sue due fratelli.
Sulla locandina del film due lupi in abito nuziale: due figure antropomorfe ingentilite dall’abbigliamento e dallo sguardo tranquillo. La loro immagine apparentemente evoluta, nasconde la loro vera natura; una natura selvaggia, primordiale e molto meno civile: l’anima di due animali della foresta. Questo sono i personaggi del film. Legati alla loro storia, al loro territorio, vivono come un branco di lupi che si difende senza esclusione di colpi. Questa realtà umana, circoscritta in un piccolo centro dell’Appennino tosco-emiliano è ostile, sospettosa e chiusa. La storia è cruda e molto realistica, ma sembra non avere forza, il racconto è fallace, i personaggi appena tratteggiati. Non c’è introspezione, non c’è azione, non c’è dramma. Ci sono uno splendido scenario naturale e una fotografia suggestiva, ma la sceneggiatura non convince e non esalta. Peccato anche per la parte di Gianni Morandi, il suo personaggio ambivalente e contraddittorio dovrebbe rappresentare un punto di congiunzione tra i due forestieri e la piccola comunità locale, anche lui come gli altri, ha un’anima di animale mascherata da gentiluomo, che lotta per la sopravvivenza e non uccide con le armi, ma con la sua cinica indifferenza. Anche se con premesse così interessanti, il film non arriva in profondità, il cinema racconta emblematicamente l’uomo, proietta l’immagine della vita sotto forma di arte, dovrebbe sorprenderci farci pensare e risvegliare il desiderio di bello.
“Nell’amore astratto per l’umanità, quasi sempre, si finisce per amare solo se stessi” ha scritto Dostoevskij
Recensione di Costance