Regia di Roman Polanski. Con Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Kim Cattrall, Olivia Williams, James Belushi, Timothy Hutton, Eli Wallach.
131 min. – USA, Germania, Francia 2010.
Un “ghost writer” 30enne viene chiamato a revisionare la biografia di Adam Lang, ex premier britannico, subentrando al suo predecessore ritrovato cadavere in circostanze più che misteriose, su una spiaggia battuta dal vento e dalla pioggia dell’isola di Martha’s Vineyard, eremo esclusivo di very important people al largo del Massachussets dove il politico Lang, assieme a tutto il suo staff, servitù e moglie al seguito, trova rifugio all’interno di un lussuossissimo loft.
Non passa molto tempo per far realizzare al nostro scrittore anonimo che dietro questo incarico lautamente ricompensato ci sia qualcosa di molto più torbido e pericoloso. Infatti, dopo i primi giorni di lavoro l’ex-premier si ritrova catapultato all’interno di un vero e proprio scandalo internazionale, essendo accusato di aver favorito durante il suo mandato la tortura di quattro presunti terroristi di Al Qaeda (con conseguente morte di uno di essi) nonché di legami con la CIA.
In un crescendo di pathos e di tensione, complice l’atmosfera inquieta di una location sospesa nel tempo e nello spazio, spazzata dal vento e dai colpi di scena, il nostro ghost writer, rigorosamente senza nome, comincia a ragionare sulla vicenda addentrandosi in una storia sempre più articolata e dai contorni continuamente mutevoli. Mutevoli e poco definibili come i personaggi che gli si presentano davanti: l’ambigua e acuta moglie, la devota segretaria/amante, l’editore di riferimento, la stessa servitù, gli ex alleati di partito. In poco tempo la vicenda letteraria prende i connotati di una spy story dai risvolti noir-politico-sentimentali che si concluderà, in un crescendo di colpi di scena, con un epilogo del tutto (o forse no?) imprevedibile.
Tratto dal romanzo di Robert Harris, ex ghost writer a sua volta e che ha anche collaborato alla sceneggiatura, questo bellissimo film, vincitore dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino, è un chiaro rimando alle atmosfere hitchcockiane delle quali il cinema di Roman Polanski (e quello moderno in generale) è da sempre influenzato. Soprattutto nell’arte di ricreare con rara maestria situazioni di estrema suspence e di introspezione nel profilo psicologico dei vari personaggi. Ma attenzione: Polanski lo fa a modo suo e cioè citando il Maestro nello stile, ma non indugiando a puntare con determinazione il dito accusatorio avvalendosi del messaggio insito nella sceneggiatura. Perché le nefandezze di una politica di guerra dove le responsabilità del paese promotore non sono maggiori di quelli che l’hanno avallato, sono più che mai attuali. Nel caso specifico è la politica di Tony Blair quella messa sotto accusa, complice di uno stato che persegue tornaconti personali fino al punto di produrre prove false pur di giustificare il conflitto.
Ewan Mc Gregor, perfetto nei panni dell’uomo qualunque che man mano prende coscienza dell’intera vicenda con crescente disapprovazione (l’apice è raggiunto nel trailer della società di armi visionato su internet e legata direttamente ad uno dei membri del Governo – ogni riferimento alla Halliburton NON è puramente casuale) è controbilanciato perfettamente da Pierce Brosnan che, smessi i panni di 007 si cala in quelli di un politico manipolatore e a sua volta manipolato, sorriso ipocrtita e molto telegenico, che ben rispecchia l’attuale standard della classe dirigente planetaria. Abbandonato dal suo partito e condannato in patria nel tentativo di salvare la faccia per uno scandalo pubblico dai risvolti ancora così attuali, il politico Lang trova la sua ancora di salvezza nel fatto che vive negli USA, paese dove non esiste un trattato di estradizione con l’Inghilterra a differenza della Svizzera, in cui il regista Polanski si trova tuttora agli arresti domiciliari per una storia privata vecchia di 30 anni.
Recensione di Claudia Giacinti
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