IL DISCORSO DEL RE, regia di Tom Hooper. Con Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Jennifer Ehle, Derek Jacobi, Timothy Spall. Durata 111 minuti. Gran Bretagna, Australia 2010.
Premiata al Toronto International Film Festival nonchè titolare di dodici nomination agli Academy Award, quest’opera testimonia lo stato di buona salute del cinema inglese.
Vi si racconta la storia incredibile del mite Duca di York, affetto da grave balbuzie, catapultato sul trono col titolo di Giorgio VI (Colin Firth, interpretazione memorabile), dall’improvvisa ed inaspettata abdicazione del fratello Edoardo VIII, che sceglie di sposare l’americana pluridivorziata Wallis Simpson sgradita alla Casa Reale. Trovandosi nella disperata necessità di dover comunicare con i propri sudditi a seguito delle nuove invenzioni nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa, in particolare della radio, su consiglio della consorte, la futura Regina Madre Elisabetta, Giorgio accetta di avviare un percorso terapeutico con il logopedista australiano Lionel Logue.
La trama del film racconta il sofferto e complesso rapporto tra i due, i loro vivaci scambi di opinione che evidenziano l’orgoglio e la forte personalità del logopedista (l’eccellente Geoffrey Rush), che con forza reclama paritarietà e spontaneità nel rapporto con il sovrano, pretendendo di chiamarlo Bertie, considerandola condizione imprenscindibile per favorirne il percorso riabilitativo.
Parimenti Giorgio VI, per indole incline a un profilo di vita appartato, con il suo viso contratto, gli occhi ansiosi di un uomo che si sente inadeguato a sostenere il peso di una enorme responsabilità, alterna nel percorso terapeutico scatti d’ira a manifestazioni di debolezza ed è assolutamente terrorizzato dall’idea di dover arringare la folla da un microfono.
Il logopedista comprende che il blocco emozionale dell’illustre paziente deriva dal retaggio dell’educazione paterna, dalla tradizione, dal senso del dovere ed agisce, anche irritandolo fortemente, per liberarlo dalle sue inibizioni, sino a causarne a più riprese il furore.
E’ questa la parte più interessante del film, dove lo scavo psicologico dei due personaggi è accurato e delineato con grande maestria; progressivamente il rapporto tra i due diventa sempre più amicale e sempre più conflittuale, quasi in una sorta di scontro tra il plebeo australiano, in cerca di quella rivalsa “psicologica” che l’Inghilterra del Novecento coltivò nei confronti della Corona, e l’aristocratico inglese, appartenente alla classe storicamente dominante.
L’attrattiva che l’opera esercita sullo spettatore è in buona parte dovuta allo scontro dei caratteri, allo scambio di battute e frecciate sagaci tra i due personaggi principali; la vita di Corte, le usanze, i rituali, i modi di dire e non dire sono perfettamente rappresentati, nell’ambito di una narrazione tipicamente “British”, dove le espressioni dei visi sono eloquenti, ed i piccoli particolari estremamente rilevanti ai fini della narrazione.
Anche le figure di contorno, come la moglie di Bertie, la Regina Elisabetta (Helena Bonham Carter) non deludono affatto nell’ambito del contesto recitativo; non priva di arguzia, la donna crede fermamente nella possibile guarigione del marito.
E sarà la costanza del nuovo sovrano, nonché la ferrea volontà terapeutica del logopedista che determineranno il miracolo; i progressivi scoppi di ira lo aiuteranno infine a liberare la sua repressa eloquenza; nel discorso alla Nazione, che preannuncia l’entrata in guerra della Gran Bretagna contro la Germania, apparirà veemente ed appassionato; il fluire del discorso risulterà forte e lineare ed i sudditi lo riconosceranno finalmente come simbolo e guida.
La sequenza del discorso radiofonico e quella successiva che descrive il saluto dei sovrani dal terrazzo di Buckingham Palace, sono rappresentazioni dalle tonalità emotive fortemente coinvolgenti; l’interpretazione di Firth, intensa e commovente, sottolinea la mirabile forza del cinema inglese e la sua perfezione tecnica.
La straordinaria fotografia di Larry Cohen rifulge nella rappresentazione scenica, esaltando la drammaticità di alcuni momenti, in particolare nella sequenza in cui i due protagonisti discutono furiosamente nei viali di Green Park, riscattando qualche momento di tedio e leziosità che qua e là affiora nella sceneggiatura del film.
Recensione di Dark Rider
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