Feb 222018
 

La forma dell’acqua, di Guillermo del Toro. Con Sally Hawkins, Michael Shannon, Octavia Spencer, Doug Jones, Richard Jenkins. Produzione: USA, 2017. Durata: 119’

★★★★☆

shareStati Uniti, 1962. Elisa (Sally Hawkins) lavora come addetta alle pulizie all’interno di un centro di ricerca aerospaziale. Affetta da mutismo, Elisa trascorre la sua esistenza in un’ordinaria routine, intervallata dalla compagnia dell’amico e vicino Giles (Richard Jenkins) e dagli sproloqui della collega Zelda (Octavia Spencer). Una notte, durante uno dei tanti turni di lavoro, Elisa e Zelda assistono all’arrivo nei laboratori di una strana capsula contenente qualcosa e di Strickland (Michael Shannon), agente governativo addetto alla sicurezza del misterioso involucro. Curiosa di sapere cosa si nasconde dietro tale stranezza, Elisa si intrufola nel laboratorio, trovandosi di fronte a una bizzarra creatura acquatica antropomorfa (Doug Jones) catturata da Strickland in Sudamerica e, ora, soggetto per esperimenti. Lentamente e di nascosto Elisa instaura un rapporto di fiducia con la creatura che, giorno dopo giorno, si trasforma in sentimento.

A distanza di due anni e mezzo dalla ghost story gotica Crimson Peak, Guillermo del Toro è tornato scrivendo e dirigendo la sua decima opera cinematografica, La forma dell’acqua – The Shape of Water (The Shape of Water, 2017). Distanziandosi momentaneamente dal suo genere (prevalentemente) di appartenenza, quell’horror apprezzato nei suoi lavori come Mimic, Blade II e nel già citato Crimson Peak, il regista messicano con La forma dell’acqua racconta una storia che pesca a piene mani e strizza l’occhio a quella sci-fi degli anni Cinquanta e Sessanta, con particolare riferimento al cult Il mostro della laguna nera. Tuttavia La forma dell’acqua non si limita ad essere – solo ed esclusivamente – una pseudo rivisitazione (o remake) dell’horror fantascientifico del 1954, piuttosto ne (ri)scrive ex novo il contenuto, mantenendo qualche elemento della pellicola fonte di ispirazione e, parimenti, facendo tabula rasa di tutto il resto.

Ambientando le vicende in un contesto sociopolitico teso e instabile, ovvero quell’inizio anni Sessanta con la guerra del Vietnam in pieno svolgimento e le cui immagini scorrono sui televisori messi in bella mostra nelle vetrine dei negozi di elettronica, nonché protagonisti del più silenzioso e temuto conflitto dell’intera storia dell’umanità, quella Guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, uno scontro di forze che è stato capace di creare paure e paranoie sullo sfondo variegato (e inquietante) sul quale si muovono lo spettro dell’olocausto nucleare, la corsa agli armamenti e alla conquista dello spazio, senza dimenticare spionaggio, doppi e tripli giochi di cellule dormienti. La forma dell’acqua non solo ricostruisce, con perizia e dettagli millimetrici, l’apparato storico bensì ne contestualizza gli aspetti societari, come quello dell’America scissa in due (e ancora in preda a xenofobia e razzismo), di quella Nazione fatta di casette a schiera dai colori pastello, famiglie felici, automobili di lusso, borghesia e – parimenti – di lavoratori e proletari che si muovono e vivono in un mondo dai colori più freddi, che offre poco ma – per questo – non di certo meno interessante. In questo corollario di usi e costumi dei Sixties, del Toro permette alla storia principale di prendere le mosse: infatti La forma dell’acqua è, ancor prima di essere la messa in scena di una decade del passato, la narrazione di un incontro tra esseri soli, ai margini eppure legati, in qualche modo, all’acqua, a uno dei quattro elementi (insieme a terra, aria e fuoco) che formano la materia e che, qui, ricopre la sua doppia valenza: costituente di tutte le forme di vita e nucleo di origine della vita stessa.

Il primo face to face tra Elisa e la creatura acquatica rappresenta la collisione tra due mondi, quello degli umani e quello di qualcosa di diverso dall’umano, di differente rispetto agli uomini ma che, nonostante l’aspetto agli antipodi, presenta similitudini. Sia Elisa sia la creatura sono gli unici esseri che, nonostante la distanza biologica li divida, riescono a capirsi e, così, a comunicare. Il mutismo della protagonista combacia con quello della creatura, capace sì di replicare i gesti visti ma – allo stesso momento – incapace di proferire, di pronunciare parola alcuna. Eppure, in questa (in)comunicabilità, i due si capiscono, si intendono, si amano. La forma dell’acqua, oltre ad essere un fantasy d’autore, è una emozionante (e profonda) fiaba sull’universalità dell’amore, di quel sentimento privo di confini, libero da contrasti e differenze tra lingue, religioni, colore della pelle, etnia e provenienza. L’amore, quello posto da del Toro al centro di La forma dell’acqua, non conosce barriere né tantomeno limiti: il sentimento che nasce tra Elisa e la creatura non solo diventa metafora – mai quanto oggi attualissima – sulla capacità di andare oltre le convenzioni che la società – spesso – impone e, oltre a ciò, invita a non demordere in quella ricerca dell’altro da sé, di quella metà atta a completare chiunque e, così, permettere di uscire da quella solitudine che a volte si insinua all’interno dell’esistenza. In questo La forma dell’acqua si avvicina al meraviglioso (e sempre di del Toro) Il labirinto del fauno: come la Ofelia di Il labirinto del fauno, la quale si inoltra in un mondo di fantasia per sfuggire agli ultimi orrori provocati dagli echi della guerra civile della Spagna franchista, Elisa, tra le braccia della creatura, si affaccia alla possibilità (e alla sicurezza) di una fuga da una realtà atona e in preda alla violenza ancestrale e brutale dell’uomo stesso.

Se la storia d’amore ricopre una buona porzione nel decimo lungometraggio dell’autore di La spina del diavolo, ciononostante La forma dell’acqua offre altri spunti di riflessione nonché critiche dirette a quell’assolutismo – in alcuni casi – forsennato e privo di sensatezza della ricerca scientifica, disposta a tutto pur di permettere alla tecnologia il suo avanzamento e sviluppo per conquistare nuovi campi. Una scienza che in La forma dell’acqua, nonostante ciò, non si limita ad essere rappresentata esclusivamente con accezione negativa, in modo tale da far affiorare quel sottofondo ecologista con lo scopo di far capire l’importanza della preservazione della natura e del rispetto verso essa poiché, nonostante le “stranezze” che la Madre Terra può riservare, alla fine i “mostri” non sono le inedite bizzarrie dell’evoluzione piuttosto, se di veri mostri si deve parlare, lo sono gli uomini nella loro ottusa cupidigia di potere contornata dalla sete di conquista.

Opera sfaccettata nella sua stessa commistione di generi e permeata da un certo citazionismo filmico che la trasforma anche in un esempio semplice e diretto di metacinema, La forma dell’acqua è un atto di vita che possiede tutti i crismi per potersi affermare come fresca e immensa opera cinematografica: tra sequenze oniriche e scene più intime e introspettive legate da un nostalgico e dolce leitmotiv, La forma dell’acqua è una mirabilis appartenente, in toto, a quell’enorme macchina chiamata Cinema, capace di incantare e sconvolgere, di emozionare e far riflettere poiché il cinema, in fondo, è simile alla vita: sia l’esistenza sia la Settima arte sono sempre variegate e sorprendenti.

 Francesco Grano

Una scatola cinese all’infinito

formaQuante volte al cinema abbiamo visto storie d’amori impossibili tra i vari King Kong e le bionde di turno? Tra la Bella e la Bestia? E quanti alieni hanno fatto centro nel cuore di terrestri, come lo Starman – Jeff Bridges o i tre alieni di Le ragazze della terra sono facili? Senza dimenticare l’incontro tra Tom Hanks e Daryl Hannah in Splash – Una sirena a Manhattan.

Stavolta Guillermo del Toro, messicano classe 1964, rende omaggio a tanti cult movie (primo fra tutti Il mostro della laguna nera, Jack Arnold, 1954) che l’hanno entusiasmato fin da bambino, compresi i classici di Walt Disney con tanto di magiche polverine e l’immancabile happy-end. Così le agognate scarpette rosse che la sua eroina riesce alla fine a indossare ricordano  quelle di Dorothy ne Il Mago di Oz, nonché quelle che danno il titolo al capolavoro di Michael Powell e Emeric Pressburger.

Rimescolando titoli e generi, Guillermo del Toro governa un caleidoscopico tributo al cinema (anarchica manipolazione di scatole cinesi all’ infinito) e a tutti quegli spettatori che non rinunciano a godersi le storie sul grande schermo. Anche se davanti a quello schermo si trovasse, per incanto, un solo spettatore, magari proprio un mostro orripilante con tanto di squame d’argento e cellule palpitanti d’emozione. La sala cinematografica in questione, gestita da un amico di Elisa, ha in cartellone due film; il biblico La storia di Ruth (Henry Koster, 1960) e Martedì grasso (Edmund Goulding, 1958). Non meno sofisticata la scelta dei brani musicali. Da Benny Goodman a Glenn Miller, passando per la mitica colonna sonora di Scandalo al sole (Delmer Daves, 1959).

Premiato con il Leone d’Oro al Festival di Venezia 2017, La forma dell’acqua – The Shape of Water corre con 13 nomination ai prossimi premi Oscar. Una schiera di valenti illustratori e fumettisti italiani ha contribuito alla realizzazione di questa toccante storia d’amore. Una favola? Di certo la violenza non fa paura, anche se volano pistolettate e sgorga il sangue. L’humor scorre placido così il gusto dell’impossibile quando, per un attimo, Elisa recupera la voce per cantare l’amore al suo bel tritone, sotto il cui strabiliante travestimento vibra un attore alto quasi due metri, Doug Jones, che ha collaborato con del Toro già da Mimic (1997) e fino a Il labirinto del fauno (2006).

Proprio come nelle favole gli emarginati, gli ultimi, gli esclusi, i diversi, possono diventare per una volta eroi vittoriosi. Magari alleandosi e fluttuando abbracciati nell’acqua fino all’ultima scena. Soprattutto liberi e fuori dalla vasca della prescritta normalità.

Ornella Magrini

 

 

 

 

 

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