L’ospite inatteso (The visitor), Regia di Thomas McCarthy. Con: Richard Jenkins, Haaz Sleiman, Danai Jekesai Gurira, Hiam Abbass, Marian Seldes. Durata 104 min. – Usa 2007
Intenso, delicato, raffinato e originale questo film che, seppur con sfumature e con un ricercato minimalismo, vola alto e scuote le coscienze del protagonista e degli spettatori.
È la storia di Walter Vale, professore universitario d’Economia rimasto vedovo da 5 anni, ormai senza più stimoli né talento, che si nasconde passivamente dentro il monotono scorrere di giornate sempre uguali in un’anonima cittadina del Connecticut, fino al momento in cui è costretto temporaneamente ad abbandonare il suo rassicurante seppur triste guscio e spostarsi, suo malgrado, nella vitale e frenetica New York dove possiede un appartamento. Al suo arrivo la sorpresa!
All’interno dell’appartamento trova una coppia di extracomunitari, Tarek e Zainab, siriano lui e senegalese lei, ai quali la casa è stata affittata da un fantomatico intermediario. Chiarito il disguido, la coppia priva di permesso di soggiorno, decide di andare via immediatamente, senza meta e in piena notte. Da una serie di sfumature l’uomo si rende conto di trovarsi di fronte a due ignari ragazzi, a loro volta raggirati e in assoluta buona fede: decide quindi di ospitarli per un paio di giorni, il tempo utile per trovare una nuova sistemazione.
Inizia così una breve convivenza in cui Tarek e Walter, partendo da un’affinità musicale (uno suona egregiamente il djembe in un gruppo jazz, mentre l’altro si ostina a voler suonare il piano con scarsissimi risultati in memoria della moglie) intessono un delicato rapporto umano che va in crescendo. Il film si snoda così tra situazioni di quotidianità leggere e divertenti, finché un giorno, per un malinteso, Tarek viene fermato e trasferito in un Centro di Immigrazione. La macchina burocratica si mette in moto e il fermo assume ben presto i connotati di detenzione. Il coinvolgimento emotivo di Walter è già enorme, ma aumenta ancor più quando entra in scena la madre di Tarek, la bellissima e dignitosa Mouna.
Presentato al Sundance Festival, il film di Tom McCarthy ci apre con leggerezza il cuore trasportandoci negli animi e nelle vicende dei protagonisti, i quali girano tutti intorno alla figura di Walter Vale, splendidamente interpretato dal bravissimo Richard Jenkins che proprio per questa performance ha meritatamente guadagnato la nomination all’oscar.
È un film sull’amicizia e sui rapporti umani ma soprattutto un film di denuncia civile su come ormai dopo l’11 settembre oltre alle torri sono crollati anche quei valori di solidarietà, di apertura e di accoglienza che da sempre avevano caratterizzato l’America.
La paura è, infatti, qualcosa su cui la politica americana (e non solo) ha lavorato incessantemente da 8 anni a questa parte, dando origine ad una collettività sempre più diffidente, chiusa, egoista, arida e soprattutto focalizzando l’attenzione in maniera negativa nei confronti del diverso.
È quindi un vero segnale di svolta epocale l’elezione di Obama, la cui figura incarna proprio quello stereotipo verso il quale avremmo dovuto chiudere senza esitazioni la porta.
Recensione by Claudia