Regia di Roberta Torre
Roma, Nuovo Cinema Aquila, 14 maggio 2009
Roma, Pasolini e la Periferia luogo dell’Anima. Questo il sottotitolo della serata di presentazione in anteprima nazionale dei due docufilm di Roberta Torre prodotti da Rosettafilm in collaborazione con l’Accademia Perduta Romagna Teatri.
La regista, resa celebre da due titoli di sceneggiata-musical come Tano da morire e Sud Side Stori, dopo essersi affrancata dal genere con un titolo come il recente noir Mare Nero, propone due documentari, nati come materiale per uno spettacolo teatrale prodotto dall’Accademia Perduta e poi, come spiegato in sala dalla stessa autrice, animatisi di vita propria fino a diventare due opere distinte ma comunque legate a doppio filo tra di loro dai temi trattati, la periferia di Roma e Pier Paolo Pasolini.
La scelta del luogo dell’anteprima è particolarmente significativa: il Nuovo Cinema Aquila si trova al Pigneto, sotto i piloni della Tangenziale Est, luogo più volte ritratto nel primo dei due documentari, simbolo di una ex periferia sventrata ma sopravvissuta e recentemente riqualificata, fino a diventare addirittura luogo trendy per eccellenza, come già accaduto in precedenza ad altre borgate o quartieri popolari, come San Lorenzo, Testaccio e Garbatella. La sala della proiezione, poi, recentemente sequestrata alla criminalità organizzata e restituita alla città, è ben presto diventata un vero polo culturale del quartiere, oltre ad essere uno dei pochi (se non l’unico) cinema di prima visione della zona.
Dopo non poche difficoltà dovute all’enorme risposta di pubblico che ha preso d’assalto il cinema costringendo gli organizzatori a programmare in tutta fretta altre due proiezioni, e dopo aver notato l’imbarazzante assenza delle istituzioni cittadine, a malapena rappresentate dal presidente del V municipio Caradonna, ecco finalmente scorrere le immagini cupe, inquietanti ed oppressive di ‘itiburtinoterzo’. Un esempio per immagini ‘dal vero’ di trattato di antropologia culturale dedicato ad una tribù in una riserva indiana, così si autodefiniscono gli intervistati, giovanissimi o al massimo trentenni senza speranza e senza futuro che bruciano le proprie esistenze tra spaccio, furti, rapine, galera, prostituzione maschile, sognando una vita ‘normale’ con famiglie ‘normali’ senza troppa convinzione, avendo come unico confidente il proprio cane al guinzaglio e come modello i ‘gangsta’ dei videoclip americani.
La luce di una lampadina, lo sfondo di un garage, è qui che Roberta Torre fa parlare i suoi protagonisti; le sole immagini esterne sono quelle del traffico della tangenziale al tramonto e quelle notturne di un palestrato ‘ragazzo di vita’, intervistato sul marciapiede che ci racconta la sua cruda storia con un disarmante sorriso sulle labbra, ma non sapremo mai se stia dicendo il vero o se replichi per l’ennesima volta sul suo palcoscenico la sua recita a pagamento. A tutti gli intervistati la regista chiede se conoscano Pasolini, ma le risposte sono quanto mai confuse, frammentarie ed imprecise. Il tutto farcito da ritmi e melodie mediorientali, ad evidenziare, se mai ce ne fosse bisogno, la sensazione di un mondo vicino ma lontano, di una kasbah dentro casa, di un suq sotterraneo abitato da giovani ed inquietanti fantasmi metropolitani.
Giusto il tempo per riprendere fiato ed ecco il secondo docufilm, la notte quando è morto pasolini, resoconto di una lunga intervista a Pino Pelosi: condannato per l’assassinio del poeta ed intellettuale avvenuto nel novembre del 1975, egli racconta l’ennesima versione dei fatti, a detta sua quella definitiva, affermando di essere stato solo il testimone e non l’autore di un vero e proprio agguato, una trappola in cui lui per primo è caduto e della quale solo ora, a decenni di distanza da quella tragica notte, è disposto a svelare i particolari. Si fa fatica a credere al contraddittorio resoconto di Pelosi, che alla Torre ‘confessa’ di aver nascosto la verità persino alla madre, per la paura di ‘ritorsioni e minacce’ ricevute da ‘er braciola e er bracioletta’ i due fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, ormai defunti, chiamati in causa come responsabili ed esecutori materiali dell’omicidio. Il racconto è inframezzato dalle immagini dei pochi reperti dell’epoca: gli indumenti lacerati di Pasolini, le scarpe con la zeppa del ‘Pelosino’, la tavola di legno usata come corpo contundente. Il gelo avvolge la sala, gli spettatori restano impietriti.
L’immagine è fissa, Pelosi si trova in un corridoio poco illuminato, sullo sfondo del quale emerge una bici per bambini, simbolo dell’innocenza perduta a diciassette anni, l’età che aveva all’epoca dei fatti, o forse l’ennesimo sberleffo infantile di un ambiguo figuro, scelto quale facile capro espiatorio di un intrigo ancora irrisolto, uno dei tanti di un’Italia in cui la parola Verità non riesce mai ad avere una forma definita e certa.
Due opere di grande valore artistico e sociale, che non mancheranno di suscitare interesse e polemiche; ci auspichiamo possano avere tutta la visibilità e l’ampia diffusione che questo cinema di grande impegno civile merita di avere.
recensione di Fabrizio
[…] Interessante anche l’azione iniziale nel proscenio dove si ascolta la testimonianza di Pino Pelosi, così come molto buona è la musica curata e composta dal musicista berlinese Robert Lippok dei To […]