Io e te, di Berardo Bertolucci. con Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco. Durata: 97 min.. Italia 2012
Lorenzo è un quattordicenne con qualche problema di relazione con gli altri, tanto che va dallo piscoterapeuta, e cresce in una famiglia dei Parioli che non è proprio il massimo, con un padre molto poco presente. Coglie l’occasione di una settimana bianca organizzata dalla scuola, per ritagliarsi un proprio spazio esclusivo e ritirarsi dal mondo: fingendo di partecipare alla settimana sulla neve, si chiude invece in cantina con una scorta di viveri, materiali di lettura e gadget elettronici.
Peccato che i suoi piani siano stravolti da Olivia, sorellastra più grande di lui, che irrompe nel suo spazio con forte impatto. Tossicodipendente, approfitta della reclusione sotterranea per cercare di liberarsi dalla droga, facendo pesare sul pacifico e tollerante Lorenzo tutte le conseguenze della sua disintossicazione. Com’è naturale, la storia, basata su un racconto breve di Nicolo Ammanniti, s’incentra sul rapporto tra i due, legati dalla profonda solitudine e da un padre poco consapevole delle conseguenze delle sue azioni sul benessere dei figli. entrambi gli attori sono peraltro esordienti e molto bravi.
La bellissima (a mio parere) scena clou del film è tutta incentrata sulla canzone “Ragazzo solo, ragazza sola” (1970), cantata in italiano da David Bowie, quale versione mediterranea del singolo “Space Oddity”. Sembra quasi che le canzoni degli anni ’70 abbiano lasciato un’impronta così forte, nell’immaginario collettivo, da ridiventare periodicamente protagoniste di film di tempi più vicini a noi, quando è il momento di toccare le emozioni. Altri esempi di questo secolo sono, tra gli altri, “By This River” (1977), di Brian Eno, in “La stanza del figlio” (2001) di Nanni Moretti, o “The Great Gig in the Sky” (1973), dei Pink Floyd, in “Buon giorno, notte” (2003) di Marco Bellocchio.
Il 72enne regista di “Ultimo tango” torna alla macchina da presa dopo 10 anni e a seguito di una malattia invalidante. Il suo sguardo è particolarmente riflessivo. E ne risulta un film molto buddhista. “Dobbiamo abbandonare i nostri punti di vista”, se vogliamo eliminare la sofferenza, dice Olivia citando apertamente la filosofia orientale che in Bertolucci è da tempo un riferimento centrale. E infatti il “ritiro” escogitato da Lorenzo costituisce – proprio come lo sguardo interiore di una pratica meditativa – la possibile soluzione a queste due solitudini che, altrimenti, potrebbero essere indirizzate a un destino tragico.
Recensione di Paolo Subioli