Giu 042015
 

Il Racconto dei Racconti – Tale of Tales, di Matteo Garrone, con Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, John C. Reilly, Bebe Cave, Alba Rorwacher, Massimo Ceccherini, Stacy Martin. Musiche di Alexandre Desplat  Italia/Francia, 2014;  125 minuti

★★★★☆

racconto-racconti2L’Italia sembra tornata a rappresentare il cinema di alto profilo. Con le opere di Matteo Garrone, Nanni Moretti e Paolo Sorrentino, pur non avendo vinto alcun premio al Festival di Cannes, essa ha avuto riconoscimenti dalla critica e dal pubblico, meritando una serie di ovazioni che non possono essere accantonate. Ciò non avveniva da molti anni.

Il film di Matteo Garrone, “Il Racconto dei Racconti”, tratto da tre novelle de “Lo Cunto de li Cunti” di Giambattista Basile (detto anche il “Pentamerone”), il grande e misconosciuto novelliere seicentesco che anticipò la letteratura fantastica moderna, creando archetipi che saranno poi rielaborati dai fratelli Grimm, da Tolkien, Andersen e persino da Lucas e Rowling, costituisce uno splendido Kolossal fantasy, un genere che l’Italia ha abbandonato da decenni, per mancanza di produttori, dando credito ad un cinema autoriale ed “intimista” che raramente si solleva dalla mediocrità e dalla autoreferenzialità. Non a caso Garrone ha affermato di non aver trovato un euro in Italia per produrre il film, ma ben altro ascolto in Francia.

L’Autore accetta la sfida e realizza un’opera dark sontuosa e visionaria, in cui tre storie si intrecciano tra di loro, come un fiume in piena che travalica il cinema di genere per diventare un affresco cupo e suggestivo in cui viene raffigurato l’animo umano, le sue angosce, le sue aspirazioni, la sua crudeltà.

Molte delle figuro simbolo del fantasy vengono rappresentate: ci capita così di vedere una pulce gigante, un drago albino, un enorme cuore sanguinolento, una misteriosa, lugubre foresta, un castello austero, un terribile orco, in immagini visionarie in cui l’intreccio gotico”si stempera nella narrazione favolistica.

Nella prima novella (Regina di Selvascura) una regina infelice (una cupa, credibile Salma Hayek), che aspira alla maternità, si affida ad un negromante che le spiega che ad ogni azione corrisponde una reazione, e la creazione di una nuova vita richiede il sacrificio di un’altra vita: nella sfida con il drago marino sarà il marito a sacrificarla; ella mangerà il cuore dell’animale, debitamente cotto da una serva ed avrà un figlio, e così la domestica, i quali si riveleranno totalmente simbiotici, in quanto figli del drago. Nella seconda novella (Re di Altomonte) un re lussurioso (Vincent Cassel) scambierà una vecchia raggrinzita, che vive con una sorella, per una fanciulla avvenente; ma quando accortosi dell’inganno, la farà lanciare dalla finestra del castello, ella si tramuterà in una donna meravigliosa, Dora (Stacy Martin), che lui sposerà. Alla ricerca, anche lei, dell’eterna giovinezza, sarà la seconda sorella a perdersi.

Un altro re (Toby Jones), infine, nella terza novella (Re di Roccaforte) desideroso di avere un cucciolo, alleverà una pulce gigante, ed incautamente, dopo averla scuoiata, creandone una pelliccia, metterà in palio la figlia Viola (Babe Cave): chi indovinerà l’origine di essa, l’avrà in sposa: ma sarà un orribile orco a vincere, ed ella, desiderosa di vita, con l’aiuto di un gruppo di artisti e saltimbanchi (tra cui primeggia una essenziale, strepitosa Alba Rorwacher ed un inventivo Massimo Ceccherini), saprà liberarsene in modo cruento, riportando poi la testa del mostro al padre, che l’accoglierà in lacrime.

Il filo delle storie è tenuto insieme da un gruppo di acrobati ed artisti circensi, che allietano i castelli con scherzi e fuochi, quasi a rappresentare la narrazione, e la sua imprevedibilità. E la figura della Donna diventa centrale, è Lei che, nelle diverse interpretazioni, muove il mondo, è portatrice di desideri universali, ed essa stessa attrice del proprio destino: La Regina (la maternità), la donna della Foresta (l’eterna giovinezza), la Figlia del Re (l’amore vero) sono figure autenticamente archetipiche.

Nell’opera di Garrone albergano gli spiriti dei grandi cineasti del glorioso cinema fantastico italiano del tempo che fu: Bava e Fellini, per il genio visionario, che evoca numerose volte passaggi d’incubo, ma anche Monicelli, di cui è richiamata l’ironia e la picaresca narrazione, e, per certi versi anche Pasolini, anche se non è la rivisitazione vitalistica della trilogia pasoliniana che intriga l’Autore, bensì l’eccentricità ed il fascino vagamente mortifero del Barocco. Le immagini risplendono per una assoluta, limpida pittoricità (la trasformazione della vecchia in fanciulla, nella foresta, è un esempio di questo mirabile incanto). E come il saltimbanco che sul filo rischierà la vita per salvare quella della figlia del re, così il film si concluderà con un precario equilibrio ritrovato. I protagonisti si ritroveranno tutti insieme per la cerimonia nuziale di Viola, ora nominata Regina, e mentre Dora assiste con il marito, comincerà a vedere la sua pelle raggrinzirsi di nuovo. Fuggirà quindi nella foresta. L’equilibrio del mondo naturale sarà (provvisoriamente) ripristinato.

Una sfida vinta, un progetto audace dall’esito sfarzoso che utilizza effetti speciali che non hanno nulla da invidiare ad Hollywood, anche se la narrazione a volte subisce qualche piccola caduta di tono, ma risulta costantemente viva ed appassionante, con momenti di forte impatto emozionale.

Ma, nel contempo, una riflessione universale sul cuore nero dell’uomo, le sue angosce, le sue aspirazioni, il mistero della vita e della morte, l’equilibrio arcano della natura.

Un affresco medioevale, allucinatorio e kafkyano, con forti tinte pop e noir, che appassiona e va letto a diversi livelli, anche metaforici.

E tutti i temi di questo grande autore italiano ritornano nel suo film: Salma Hayek, al fine di rimanere incinta, mangia il cuore di drago avidamente come l’anoressica forzata di “Primo Amore” il suo scarso cibo, mentre l’alternarsi di bellezza e deformità rimanda a “L’Imbalsamatore”, e la indistruttibile voglia di affermarsi rimanda a “Reality” ed ai ragazzi di “Gomorra”. Eros e Thanatos, Vita e Morte, il Principio e la Fine di tutte le cose.

Recensione di Dark Rider

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