Il colore nascosto delle cose, di Silvio Soldini, con Valeria Golino, Adriano Giannini, Ariana Scommegna, Laura Adriani. Italia Svizzera, 2017 durata 115 min.
Lui è Teo, un creativo quarantenne con il complesso di Peter Pan che si barcamena tra campagne pubblicitarie da inventarsi, una compagna con cui non si decide a convivere, un’amante che accetta un rapporto di solo sesso senza altre implicazioni sentimentali, un collega con cui fare jogging a Villa Ada e vantarsi delle proprie avventure sessuali. Lei è Emma, non vedente osteopata che sembra aver trovato un suo equilibrio nonostante il forte handicap, col quale riesce a convivere con sufficiente disinvoltura, dopo aver superato anche il trauma di un matrimonio fallito. Il caso li fa incontrare, nasce una passione tanto travolgente quanto inaspettata. Cosa succederà, cosa cambierà nelle loro vite a causa di questo incontro?
Soldini torna a parlare di rapporti di coppia nella società contemporanea, di incontri casuali ma decisivi (Bentivoglio e la ragazza rom in Un’anima divisa in due, Licia Maglietta e Bruno Ganz nel celebre Pane e tulipani, Alba Rohrwacher e Favino in Cosa voglio di più, se vogliamo anche la stessa Maglietta e la barbona di origine slave de Le acrobate). Come in tutte le pellicole menzionate, il regista è molto abile nell’intrufolarsi con la macchina da presa nella vita dei suoi protagonisti e permettere allo spettatore di vederli talmente da vicino da farceli sentire respirare. Il suo è un cinema molto asciutto eppure denso di intimità, di piccole emozioni che generano grandi spostamenti del punto di vista e delle consuetudini, sia dei suoi personaggi che degli spettatori.
Stavolta si cimenta con il tema della cecità, dopo aver già affrontato l’argomento col documentario Per altri occhi, con il chiaro obiettivo di comunicare l’importanza di un approccio che vada oltre le apparenze (un obbligo a cui la protagonista Emma è costretta dalla sua condizione) e la superficialità con cui la frenesia dei nostri giorni ci costringe ad affrontare molti dei nostri rapporti e degli episodi che costellano le nostre vite. Non tutto funziona a dovere, la pellicola è un po’ disomogenea, ad una buona preparazione e sviluppo iniziale del plot fa poi seguire un’affrettata conclusione della storia che risulta pertanto solo parzialmente compiuta e definita.
Bravi gli attori di contorno, bravissima la Golino, vero valore aggiunto del film, meno convincente Adriano Giannini, in un ruolo che sembrava fatto su misura per lui ma che non ricopre con la dovuta accortezza nei gesti e negli sguardi, un po’ troppo alla Raul Bova. Lascia anche un po’ sorpresi la scelta di girare parte del film in 4:3 anziché nel tradizionale 16:9.
Un buon film, ma dall’ autore de L’aria serena dell’ ovest e di Brucio nel vento (senza dimenticare tutti gli altri film citati in precedenza) era lecito aspettarsi di più
Recensione di Fabrizio Forno