IL CASANOVA DI FEDERICO FELLINI: Regia: Federico Fellini, con Donald Sutherland, Tina Aumont, Cicely Browne, Carmen Scarpitta, Clara Arganti, Daniela Gatti, John Karlsen; Musiche: Nino Rota; Produzione: Italia (1976); durata 155 minuti;
La gestazione di questo misconosciuto capolavoro felliniano fu molto complicata; ci furono problemi di ogni genere, ripensamenti, fatiche, ma alla fine il genio inventivo del Maestro ebbe la meglio, facendo tesoro delle collaborazioni sapienti ed inventive che era riuscito ad ottenere. Liberamente tratto da “Storie della mia vita” di Giacomo Casanova, il film narra le peripezie e le disavventure del nobile veneziano, partendo dall’ultima stagione della sua vita di bibliotecario nel castello di Dux in Boemia, alla corte del conte di Waldenstein. Ormai vecchio e malato, Casanova si abbandona ai ricordi. In realtà, il maestro riminese coglie solamente quattro episodi dal volume, inventando tutto il resto, con grande fantasia ed immaginazione. L’incipit è a Venezia: durante il Carnevale, il celebre seduttore incontra una suora esuberante, solamente per compiacere l’amante di lei, l’Ambasciatore di Francia, dopodichè viene arrestato e rinchiuso ai Piombi con l’accusa di magia nera. Fuggito in maniera rocambolesca, si rifugia a Parigi, dove, nel salotto di Madame d’Urfè, si pratica il libertinaggio, e si discetta di esoterismo ed immortalità. Incontra la raffinata Enrichetta, che sparisce dopo una notte d’amore, lasciandogli un profondo rimpianto, che lo indurrà, tempo dopo, a Londra, a tentare il suicidio, anche perché vessato ed oltraggiato da una giovane moglie e dalla madre di lei. Affascinato da una gigantessa, vero fenomeno da baraccone, supererà la crisi, continuando i suoi viaggi per l’Europa; a Berna avrà una avventura con Isabella, a Dresda incontrerà fuggevolmente la madre, ed alla corte di Wurtemberg sedurrà una bambola meccanica, prima di finire i suoi giorni in Boemia, alla corte di Waldenstein. Un film profondo, visionario, allucinatorio, che si trasforma in un viaggio in un universo femminile stravolto, pauroso e grottesco, dove appaiono suore assetate di sesso, gigantesse gobbe, vecchie aristocratiche, e figure sfuggenti, alcune fortemente aggressive, mentre la bambola meccanica, oggetto del suo ultimo sogno, prima della morte, viene a rappresentare il suo reale, alienato ideale di donna. Un’opera intrisa di morte, in cui Eros e Thanatos vanno a braccetto, dove lo stralunato, disperato protagonista (uno straordinario Donald Sutherland), incapace in realtà di amare, vive la sessualità come prestazione meccanica, in totale alienazione, come un esasperato e cialtronesco atleta del sesso. Un vero balletto funebre, allucinatorio e perverso, una livida palude dove ogni reale senso di umanità è perduto, in una “non vita” meccanica e ripetitiva, priva di senso. Dalle vicissitudini del protagonista emerge una immagine amara ed impietosa della società europea dell’epoca, che Fellini descrive con ironia impietosa, puntando uno sguardo severo sulla decadenza di un mondo dominato dal caos. Ne emerge una funerea rappresentazione di un eros meccanico, privo di qualunque poesia e afflato sentimentale, in una atmosfera raggelante, in cui persino i banchetti e le orge dell’aristocrazia romana (che ricordano quelli tetri e lugubri, già rappresentati in Fellini Satyricon) appaiono ineluttabili rappresentazioni di disfacimento e di morte. Nel contempo, lo sguardo di Fellini sull’universo femminile è pessimistico ed allucinatorio; le varie figure che si susseguono hanno qualcosa di inquietante, se non di mostruoso, e nella loro rappresentazione lo stile visionario e grottesco del Maestro si esprime con grande efficacia espressiva. La sequenza onirica finale, in cui Casanova fa l’amore con un automa è l’amara riflessione del regista sulla disumanizzazione ormai pienamente compiuta. La geniale musica di Nino Rota, ossessiva e grottesca, in un flusso melodico pieno di inquietudine, sottolinea il cammino dell’allucinato protagonista, mentre Danilo Donati crea scenografie molto forti e cupe, e Giuseppe Rotunno regala al grande regista dei set immaginifici (come un mare notturno nella laguna fatto di teli di plastica nera), determinando la fortuna di un’opera angosciosa e visionaria, che rimane, a dispetto delle controverse critiche che all’epoche ottenne, tra le migliori creazioni del genio felliniano. Un’opera unitaria e compatta, che contempera l’orribile ed il tenero, il favoloso e l’ironico, con una notevole tenuta narrativa e rigore stilistico, che passa con grande facilità dalla caricatura alla visionaria percezione dell’incubo. Nel centenario della nascita del grande Maestro, che qui celebriamo, l’opera è stata restaurata, speriamo di rivederla presto nelle sale.
Recensione di Dark Rider
viene arrestato e rinchiuso ai Piombi
Proprio come https://raiplay.org nei film… l’atmosfera in cui vedi un miracolo in tutto ciò che è ordinario.