Dark Shadows, di Tim Burton, con Johnny Depp, Eva Green, Michelle Pfeiffer, Helena Bonham Carter, Johnny Lee Miller, Chloe Grace Moretz. Musiche: Danny Elfman
Usa 2011, 113 minuti.
Dopo l’opaca prova di Alice nel Paese delle Meraviglie, mezzo fiasco in 3D, Tim Burton ritorna ai territori a lui più congeniali, il Gotico ed il Fantasy sfrenato, confezionando un film cupo e allucinatorio, ma pieno di inventiva e godibilissimo.
Il progetto consiste nel remake dell’omonima soap opera del mitico regista di Horror Movies Dan Curtis, che ebbe un enorme successo in Tv negli anni sessanta/settanta ed è stato fortemente voluto dall’attore feticcio Johnny Depp, che, esattamente come il suo amico Tim Burton, da bambino era un fan sfegatato di essa, così come un’altra delle attrici protagoniste del film, la brava Michelle Pfeiffer.
La vicenda inizia nel 1752, quando il dandy Barnabas, rampollo della potente famiglia Collins (Johnny Depp), che da Liverpool era approdata per finalità imprenditoriali in America, rifiuta la bellissima e malefica strega (Eva Green) follemente innamorata di lui, che per vendetta fa gettare da una rupe la ragazza da lui amata, e lo trasforma in vampiro, seppellendolo vivo.
Nel 1972, per puro caso, una scavatrice lo disseppellisce e Barnabas torna a casa, dalla sua scombinata famiglia di freak, che a Collinwood abita in un malmesso castello, al fine di rilanciare le un tempo fiorenti attività commerciali.
Nonostante sia un mostro, viene accolto bene dalla famiglia, ed in particolare dalla matriarca (Micelle Pfeiffer), anche se la sua nuova natura di predatore ha ormai pienamente soppiantato quella del timido e fascinoso dandy.
Si dà il caso, peraltro, che all’orizzonte ricompaia la sensuale strega, ancora determinata ad intraprendere una relazione con l’amato essere delle tenebre, il quale, fortemente attratto da lei, un po’ vacilla, poi cede esibendosi con lei in una divertentissima scena di sesso acrobatico.
Nel frattempo l’allucinato Barnabas ha modo di confrontarsi ed a suo modo di apprezzare la modernità, le automobili, gli stili di vita alternativi (anche se dopo aver amabilmente conversato con un gruppo di hippies, in una bella sequenza in riva ad un lago, non trova di meglio che ucciderli, succhiando il sangue a tutti). La cifra stilistica del film è quella di una creativa e lugubre ironia; ben diversamente la mitica casa di produzione inglese Hammer film aveva fatto i conti con la modernità trasportando il Dracula di Christopher Lee nella Londra del 1972, con un occhio alle droghe psichedeliche ed all’ultraviolenza di Alex di “Arancia Meccanica”, in un’opera aspra e totalmente priva di humour (1972: Dracula colpisce ancora!, di Alan Gibson). In entrambe le opere si ravvisa il desiderio di analizzare lo straniamento della figura del vampiro, mito eterno, catapultato in una società caotica ed autoreferenziale, ma l’ironia di Burton, la sua creatività, la sua visionarietà sono di gran lunga superiori ai trip acidi ed antireligiosi presenti nel pur godibile film dell’artigiano Gibson.
Burton, icona di tutte le culture “Dark” del pianeta, è intrigato dalla diversità, e guarda il mondo da un’ottica originale e malata; i suoi antieroi sono espressione pura della devianza, vista come segno di ricchezza e di originalità; in quest’opera, però, a differenza che in “Edward Mani di Forbice”, non rifulge la poesia gotica che egli è in grado di realizzare. Mentre in quel bellissimo film, infatti, Johnny Depp era poetico e dolente, e si richiudeva nel suo mondo di fantasmi per l’incapacità e l’impossibilità di integrarsi nel mondo reale, Barnabas, al di là del trucco e dello stile indubbio dell’attore, non emoziona, confinando la nuova pellicola in un territorio “mainstream” di intelligente creatività. Geniale, comunque, la raffigurazione della famiglia Collins, totalmente sopra le righe, formata da fantastici “freak”, fantasmi e licantropi, quasi una famiglia Addams più trasgressiva ed allucinata. Interessanti le figure della matriarca, interpretata da una sempre perfetta Michael Pfeiffer, e di una psichiatra assetata di sangue vampirico (Helena Bonham Carter) che sarà terribilmente punita da Barnabas.
Godibilissima la partecipazione di Alice Cooper, nella parte di sé stesso, che interpreta “Ballad of Dwight Fry” insieme a Chloe Grace Moretz alla festa che la famiglia dà al castello, e perfettamente funzionali, come sempre, le musiche create da Danny Elfman.
La resa dei conti finale con la strega che sconfitta si estrae il cuore dal petto e lo offre a Barnabas, è spettacolare, quasi un capolavoro di arte gotica, ma non commuove, non è pervasa dal cupo romanticismo che Burton ha espresso nelle sue opere migliori. Quest’ultima opera rimane un eccellente “divertissement”, geniale e visionario, ma senz’anima.
Recensione di Dark Rider