Regia di Clint Eastwood con Clint Eastwood, Christopher Carley,Geraldine Hughes, Bee Wang. Musiche Kyle Eastwood & Michael Stevens. Durata: 116 min. – Usa/Australia 2008
Con questo magnifico film Clint Eastwood celebra il suo addio cinematografico da attore: d’ora in poi, ha annunciato, realizzerà solamente regie.
L’opera rappresenta con grande intensità un omaggio a tutti i suoi personaggi, dai tempi dei films di Sergio Leone, sino all’Ispettore Callaghan di Don Siegel e così via; essa segue altre opere di grande qualità che hanno portato il suo cinema ai massimi livelli: si pensi alle drammatiche riflessioni filosofiche sulla guerra di Flags of our Fathers e Letters From Iwo Jima, alla presa di coscienza del valore della vita e della dignità della morte nello stupendo Million Dollar Baby, alla strenua battaglia di una madre contro il potere per ritrovare suo figlio, in The Changeling. Tutti questi films rappresentano opere di immenso impatto e di notevole qualità cinematografica. In quest’ultimo, che possiede il respiro dell’epopea di John Ford, l’Autore ci racconta di un uomo anziano e solo, Walt Kowalsky, reduce dalla guerra di Corea, ex operaio in pensione della Ford, rimasto vedovo (all’inizio assistiamo al funerale della moglie), misantropo, che guarda con disprezzo gli immigrati asiatici che hanno invaso il suo quartiere e che abitano la casa accanto alla sua, di cui non comprende i costumi e gli stili di vita e privo nel contempo di ogni sostegno dai suoi familiari, aridi e privi di scrupoli, che lo vogliono far ricoverare in un ospizio. Leniscono la sua rabbiosa solitudine la cagnetta Daisy e la magnifica Gran Torino, modello della Ford del 1972, che egli ogni giorno lucida con passione. Nel frattempo il film descrive con tratti efficaci il crescente degrado del quartiere in cui Walt vive, nel quale scorazzano bande di teppisti neri e latinos. Ed è proprio contrastando alcuni di questi mentre molestano una ragazza asiatica che egli comincia a prendere coscienza ed ad interessarsi al mondo degli Hmong, comunità montana laotiana insediatasi nel suo quartiere, i quali, per riconoscenza, lo colmano di doni e lo invitano a far parte di feste da loro organizzate. Sarà soprattutto nell’amicizia con Thao, ragazzo gentile e fragile, che inizialmente, sottoposto a rito di iniziazione da parte di una banda, tenta di rubargli l’auto, che egli troverà un senso alla sua esistenza, compiendo una suggestiva ed ideologica parabola antirazzista, mutando completamente parametri di giudizio, sino all’estremo sacrificio finale, che avrà lo scopo di far catturare la banda dei teppisti, a seguito della violenza subita dalla ragazza. Tramite esso Kowalsky, oramai giunto comunque sul finire della vita a causa di una probabile grave malattia, intenderà lasciare al ragazzo l’opportunità di vivere in un mondo un po’ migliore, simbolicamente rappresentano dalla splendida auto che gli lascerà in eredità. Il film ha momenti diversi, la descrizione della vita e dei costumi della comunità Hmong ha tratti quasi ironici e divertenti: il dramma irrompe all’improvviso sullo schermo, ma quasi in modo asettico, privo di pathos.
La parabola di Kowalsky, ancora segnato dal rimorso per aver ucciso, durante la guerra in Corea, molti ragazzi come il suo amico Thao, si compie inesorabilmente, sino ad incontrare il proprio destino. Nell’opera ravvediamo la rappresentazione di tutti i principali personaggi della carriera di Eastwood: Walt è infatti il pistolero che, in Per un pugno di dollari, presta il suo servizio alla comunità; è l’Ispettore Callaghan che non si separa mai dalla sua 44 magnum (infatti egli ha sempre il fucile a portata di mano), ed è il maestro di vita che, come in The Million Dollar Baby, insegna al suo allievo a crescere. Sulla scalinata della sua casa è appesa la bandiera americana: egli all’inizio si sente quasi un patriota che difende l’identità del suo paese, ed affronta con stupore la metamorfosi che avviene dentro di lui, quando scopre le affinità che lo legano a quei Musi gialli, che da giovane ha combattuto, così lontani, eppure così vicini alla sua sensibilità. Un’opera profondamente umanista, pervasa da un senso di straniante disagio esistenziale, con uno struggente epilogo, l’unico modo che trova il Protagonista per far sopravvivere i suoi valori, eppure a suo modo piena di speranza. La maschera del grande attore-regista, la sua dolente espressività, i suoi ironici colloqui con il sacerdote che lo vuole indurre a confessarsi, sono indimenticabili; il film è di quelli che penetrano nelle ossa, lasciando un ricordo indelebile di profondità spirituale e di asciutto rigore morale.
Recensione by Dark Rider
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