Gomorra, regia di Matteo Garrone. Con: Toni Servillo, Maria Nazionale, Gianfelice Imparato, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor, Gino Petrone. Produzione: Italia, 2008.
Con Gomorra, tratto liberamente dallo splendido libro di Roberto Saviano, ma senza tradirne lo spirito, Matteo Garrone realizza il suo capolavoro e riporta finalmente il cinema italiano a livelli di eccellenza.
Che fosse uno dei migliori registi italiani di nuova generazione lo si sapeva. Basti pensare allo splendido L’imbalsamatore ispirato ad un fatto di cronaca nera della Roma degli anni novanta, la storia del Nano di Termini, inquietante e profondamente postmoderno nella costruzione visiva dei desolati ambienti e nella psicologia dei personaggi; va anche ricordato il bellissimo Primo amore, storia di una terribile nevrosi di coppia, claustrofobico, rigoroso e a suo modo testimone del tema dell’anoressia di cui soffrono molte giovani donne, a volte vittime della follia dei loro partners.
Il nuovo film inizia con delle scene ambientate in un solarium ove si incontrano camorristi di diverse fazioni: ridono, scherzano, sembrano amici ma all’improvviso appare una pistola e la morte compare sullo schermo; la mano sapiente del regista indugia su quei cadaveri, passati senza quasi accorgersene dal benessere alla fine della vita.
Successivamente il film si snoda raccontando cinque episodi esemplari, tratti dal volume, che si intersecano tra loro e che si svolgono tutti a Scampia, in particolare nel condominio Le Vele, casermone alienante e diroccato dove vivono centinaia di famiglie; il regista descrive la vita dei camorristi ivi residenti e delle famiglie che girano loro attorno, in una Napoli senza speranza, dove non c’è più la saggezza di Eduardo, la comicità di Totò, la bellezza di Sophia Loren, ma solo la morte che scandisce i giorni e le ore, gli omicidi che si susseguono agli omicidi, con totale insensatezza.
In questo contesto appare Maria (Maria Nazionale), rimasta sola in quanto i suoi o sono stati uccisi o sono in carcere; accusata di tradimento viene praticamente murata viva in casa: il piccolo Totò (Salvatore Abruzzese), suo figlio, le porta la spesa, cerca di difenderla, ma per lei si compirà l’inesorabile destino, nonostante il codice etico criminale escluda l’assassinio delle donne e dei bambini.
Così Franco (Toni Servillo) trasporta da Nord a Sud i rifiuti, in combutta con imprenditori del Nord e li sistema nelle già devastate discariche del napoletano; egli agisce con apparente tratto manageriale e con sussiego; solamente il ragazzo che aveva preso con sé in addestramento comprende l’ignominia di quella criminale attività da lui definita clean nelle riunioni con gli interlocutori finanziari, e si rifiuta di continuarlo.
Compaiono poi gli adolescenti Marco e Ciro (Marco Macor e Ciro Perrone) che, credendosi onnipotenti ed autosufficienti, si schierano contro i clan e rubando le armi ad un boss, marciano inconsapevolmente verso l’apocalisse, senza rendersene minimamente conto, impastati di una cultura della violenza e della sopraffazione.
Successivamente entra in scena Pasquale (Salvatore Cantalupo), sarto esperto di capi di lusso, che si vende ai cinesi insegnando loro taglio e cucito, dal momento che essi pagano bene ed intendono lanciarsi sul mercato occidentale; si salverà quasi per miracolo dalla inesorabile vendetta trasversale e dovrà tornare nei ranghi: non c’è posto per altri soggetti economici nel mercato di Scampia.
Il personaggio dai tratti più patetici è Don Ciro (Gianfelice Imparato), che si trova tra due bande rivali e va a pietire la salvezza in nome di antiche appartenenze, per sentirsi dire che la guerra totale non le considera; salvo per caso da una resa dei conti, si allontanerà terrorizzato e rassegnato ad una non vita, in attesa della pallottola fatale.
Questa umanità violenta, dolente e degradata è rappresentata con grande rigore narrativo e stile neorealista, con pochi tratti descrittivi, quasi documentaristici; ritornano alla mente i grandi film di Francesco Rosi, negli anni sessanta e settanta, ma, a differenza del cinema politico di allora, l’opera di Garrone non vuole esprimere direttamente una denuncia; vuole raccontare, e lo fa mirabilmente, la perdita dei valori umani ed il degrado sociale, inevitabile conseguenza di quello ambientale, che comportano la terribile devastazione delle regole dell’umana convivenza.
Non a caso un giornalista iracheno, al Festival di Cannes, dove il film è stato presentato in questi giorni, con grande successo di critica e di pubblico, ha detto che le situazioni descritte gli ricordavano il suo sventurato Paese.
Un’opera mirabile, che scava nei recessi dell’umana degradazione, dove non c’è speranza, non c’è alcuna redenzione possibile, nella quale viene descritta la livida palude in cui possiamo vivere, l’inferno sulla terra.
Recensione by Dark Rider
[…] degradata di Reggio Calabria può essere accostata a quella campana mirabilmente descritta in Gomorra, mentre il viaggio tra le montagne ci porta in luoghi spettrali ed angoscianti che danno un nuovo […]