Da sempre il cinema attinge a piene mani dalla letteratura d’ogni genere e d’ogni tempo. Tanti prestigiosi cineasti hanno prescelto questa fonte d’ispirazione, a cominciare da Alfred Hitchcock, basti citare Rebecca, la prima moglie (1940) o Gli uccelli (1963), tratti da opere di Daphne du Maurier, o di Patricia Highsmith (Delitto per delitto, 1951), Cornell Woolrich (La finestra sul cortile, 1954), Robert Bloch (Psycho, 1960), fino al suo penultimo film, Frenzy (1970), da Arthur La Bern.
In tutte le sue tacche temporali e latitudini geografiche, il thriller, ma anche il noir, è stato uno dei generi più visitati e qualche volta dallo stesso romanzo sono state realizzate diverse versioni, come nel caso di The Postman Always Rings Twice (Il postino suona sempre due volte) di James Cain, che ha avuto ben cinque rifacimenti, compreso Ossessione (Luchino Visconti,1943), capostipite del neorealismo italiano. E’ ancora a un’opera di James Cain, Double Indemnity, o meglio alla sua trasposizione cinematografica in bianco e nero La fiamma del peccato (Billy Wilder, 1944), che Lawrence Kasdan s’ispira per il suo esordio da regista, Brivido caldo (1981). Quasi quarant’anni dopo i due amanti maledetti (due giovanissimi Kathleen Turner e William Hurt), consumano a colori la loro travolgente passione nell’afa lussureggiante della Florida.
Sempre in rivolta contro l’ordine costituito, il detective Philip Marlowe, creato dalla penna di Raymond Chandler, ha avuto sul grande schermo le sembianze di Dick Powell, Robert Montgomery, Humphrey Bogart, Robert Mitchum, fino a Elliott Gould (Il lungo addio, Robert Altman, 1973). Qualche volta un libro ripercorre una storia realmente accaduta, come nel caso di A sangue freddo di Truman Capote, da cui sono state tratte diverse versioni cinematografiche, nonché il geniale Truman Capote – A sangue freddo (Bennett Miller, 2005) che mette lo spettatore faccia a faccia con gli assassini e con le inquietudini dello stesso Capote (interpretato da un glorioso Philip Seymour Hoffman).
Ispirato al romanzo di Jim Thompson The Grifters, Rischiose abitudini (Stephen Frears, 1990) esplora gli abissi più neri di una dark lady dei giorni nostri (Anjelica Huston) che arriva a uccidere il proprio figlio (John Cusack) e poi s’affanna a raccattare banconote insanguinate. Rimane sempre una vena di latente nostalgia per le trame noir, tanto che la sua letteratura continua a essere saccheggiata in lungo e in largo, come per L.A.Confidential (Curtis Hanson, 1997), tratto dall’omonimo romanzo di James Ellroy. Sempre dello stesso autore è The Black Dahlia, di cui nel 2006 Brian De Palma ha realizzato una poco convincente trasposizione. Del resto non si ripete facilmente il miracolo dei cinque premi Oscar decretati a Il silenzio degli innocenti (Jonathan Demme, 1991), dal best-seller di Richard Harris. Non ce la poteva fare nemmeno Ron Howard pur sfruttando i successi editoriali di Dan Brown (Il codiceda Vinci e Angeli e demoni).
E in Europa? Anche nel vecchio continente si è coltivata questa abitudine. A cominciare dalle opere di Georges Simenon (che vanno bel oltre le inchieste del commissario Maigret). Atmosfere plumbee e rarefatte dove il male annerisce le più riposte pieghe dell’anima. Omicidi senza colpi di scena o rocambolesche sparatorie, magari tra un bicchiere di beaujolais e un boccone di fegato lardellato. E’ stato il grande Jean Renoir che per primo ha adattato per il grande schermo un suo romanzo, La Nuit ducarrefour (1932). Da allora sono stati tanti i film tratti da Simenon, molti dei quali, purtroppo, mai usciti in Italia. Ricordiamo fra tutti Lo sciacallo (Jean-Pierre Melville, 1963), con Jean-Paul Belmondo e Charles Vernel (da L’Ainé de Fercheaux), L’evaso (Pierre Granier-Deferre, 1971, da La vedova Couderc), con Simone Signoret e Alain Delon e Panico (Julien Duvivier, 1946) con Michel Simon e Viviane Romance, di cui Patrice Leconte ha diretto nel 1989 un remake, L’insolito caso di Mr. Hire, con Michel Blanc e Sandrine Bonnaire (da Il fidanzamento del signor Hire).
Indubbiamente la Francia ha modificato le regole del noir classico americano, tanto da coniare una sigla tutta sua: il “polar” (contrazione di poliziesco-noir). Citiamo ancora Melville per il Lino Ventura del suo Tutte le oreferiscono… l’ultima uccide (1966), ispirato a un libro di José Giovanni. Anche i più illustri esponenti della Nouvelle Vague non hanno resistito alla tentazione di prendere spunto dalla letteratura di genere. François Truffaut con La sposa in nero (1968) ha riletto un testo di Cornell Woolrich e Claude Chabrol quello di Domique Roulet per Una morte di troppo (1984). Fervido “amante” dei crimini più abietti, Chabrol insinua nell’apparente quiete quotidiana assassine adorne di gioielli (Grazie per la cioccolata, 2000), analfabete senza barlume di coscienza Il buio nella mente (1995), rispettivamente tratti dai romanzi di Charlotte Armstrong e Ruth Rendell. Quasi come Hitchcock, all’interno della sua corposa produzione Chabrol ha prediletto i “gialli”, compreso uno di Ellery Queen (Dieci incredibili giorni, 1971) e un altro di Richard Neely, Gli innocenti dalle mani sporche (1975), protagonisti Romy Schneider e Rod Steiger.
Patria di Conan Doyle, Agatha Christie, W. Somerset Maugham, Graham Green, Frederick Forsyth e Ken Follett, la Gran Bretagna ha prodotto un gran numero di polizieschi, spy-stories, nonché thriller di ottima fattura prendendo in prestito tante delle loro opere.
In Italia, invece, risultano abbastanza sporadiche queste trasposizioni sul grande schermo e il pacioso Montalbano di Andrea Camilleri ha preferito essere ghermito dal pubblico televisivo. Stessa sorte per le serie Gomorra, ispirata al best seller di Roberto Saviano o Romanzo criminale, dal romanzo di Giancarlo De Cataldo, dopo le calorose accoglienze che entrambi hanno riscosso al cinema (Matteo Garrone, 2008; Michele Placido, 2005).
Forse l’esempio più emblematico e popolare resta Un maledetto imbroglio (Pietro Germi, 1959), liberamente tratto da Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda. Lo stesso Germi riteneva che fosse il primo film poliziesco italiano. Ce ne sono stati molti altri, ma quasi sempre scaturiti da spunti e soggetti originali. Tra i rari esempi vanno comunque ricordati Milano calibro 9 (Fernando Di Leo, 1972), che rimanda ai più lividi intrecci della narrativa di Giorgio Scerbanenco (con un Gastone Moschin che non ha nulla da invidiare ai gangster d’oltreoceano o ai fuggiaschi transalpini), e La donna della domenica (Luigi Comencini, 1975), dal romanzo di Fruttero e Lucentini, un film che si apre con un sanguinoso omicidio sulle cui tracce procede un commissario sagace e sornione come Marcello Mastroianni.
Più di recente, sono soprattutto giovani registi italiani a essere attratti da questi adattamenti. Per la sua opera prima Andrea Molaioli si è ispirato al libro della scrittrice norvegese Karin Fossum Lo sguardo di uno sconosciuto per il suggestivo La ragazza del lago (2007) che tocca i canoni più classici della suspense. Accattivante e coraggioso La ragazza nella nebbia (2017) segna l’esordio alla regia di Donato Carrisi, anche autore dell’omonimo romanzo. Opere che fanno ben sperare i cultori del brivido, che per ora si riguardano in DVD tutta la trilogia di Millenium, di Stieg Larsson. Il cinema non poteva lasciarsi sfuggire questo boom editoriale, tanto che del primo della serie, Uomini che odiano le donne (Niels Arden Oplev, 2009), è stato realizzato subito un remake per la regia di David Fincher (2011). Ci auguriamo che quanto prima le sale italiane tornino a pullulare di thriller al cardiopalma, eleganti quanto sadici, come Soldi sporchi (Sam Raimi, 1998), da un romanzo di Scott B. Smith, o Non dirlo a nessuno (Guillaume Canet, 2006), dall’omonimo libro di Harlan Coben. Occhi chiusi qualche volta. L’happy-end non sempre è assicurato.
Ornella Magrini