Everest. di Baltasar Kormákur. Con Josh Brolin, Jason Clarke, John Hawkes, Robin Wright, Emily Watson. Durata 121 min. USA 2015
La cima più alta del mondo, il sogno di ogni scalatore, l’Everest…! La montagna più alta della Terra, è la protagonista del nuovo film del regista islandese Baltasar Kormákur. L’opera cinematografica trae ispirazione dal libro “Aria Sottile” dello scrittore Jon Krakauer, già noto per il successo letterario di “Into The Wild” ed allora giornalista che partecipò alla tragica spedizione alpinistica tema sia del libro che del film. Ed è proprio di questo che si tratta: una storia vera raccontata con gli occhi di chi l’ha vissuta davvero. Everest narra infatti la spedizione del maggio 1996 in cui persero la vita 8 alpinisti. Il film, girato in parte in Nepal ed in parte sulle Alpi italiane, rende molto bene la gelida l’atmosfera che caratterizza questo genere di avventure e ci dimostra come il regista venuto dal freddo conosca alla perfezione e sappia molto ben rappresentare questo tipo di desolate ed inospitali ambientazioni. Durante la visione del film, in certi momenti sembra proprio di trovarsi sulla cima di una montagna, circondati da neve e ghiaccio, al punto che si può anche sentire un brivido di freddo correre lungo la schiena. Questo tipo di scene sono molto più realistiche quando le riprese sono fatte da lontano, mentre quando la telecamera si avvicina si può purtroppo avere l’impressione di vedere degli attori in uno studio cinematografico.
Il cast del film vede nomi importanti, tra i quali Josh Brolin, Jake Gyllenhaal, Jason Clarke e solo con ruoli marginali anche Sam Worthington e Keira Knightley. Jason Clarke, recentemente visto in Terminator Genisys e Apes Revolution, in cui però la sua interpretazione non ci aveva convinto, qui sembra molto più a suo agio nei panni della guida alpina. Al contrario il “Donnie Darko” Jake Gyllenhaal, attore visto crescere sui set di film importanti, in questo caso sembra fuori posto, nonostante la sua interpretazione non sia delle peggiori. E infine, un ruolo di rilievo ha anche Josh Brolin, la cui carriera fu lanciata dal film per ragazzi “I Goonies” nel 1985 e che recentemente ha fatto parte di produzioni hollywoodiane di spessore come il “milleriano” secondo capitolo di “Sin City”, “Non è un paese per vecchi” del fratelli Coen ed in non troppo riuscito “Oldboy” di Spike Lee. La sua interpretazione in Everest è forse tra le più degne di nota. Se nella prima metà del film il suo atteggiamento è quella del tipico uomo sfrontato e arrogante, ruolo che lo ha spesso caratterizzato sin dai suoi esordi cinematografici, Brolin riesce a mostrarci, nella seconda parte del film, un lato debole e sofferente. E questa dicotomia tra prima e seconda metà di Everest, concretizzata nel personaggio interpretato da Josh Brolin, caratterizza fortemente il film stesso. Nella prima parte ci viene mostrata la bellezza della montagna e quanto sia eccitante l’avventura nello scalare la cima più alta del mondo, tanto da pensare: “Quanto vorrei essere lì con loro!”. Mentre nella seconda parte, quando il dramma si consuma, tutta la potenza della natura e l’impossibilità di noi piccoli essere umani nel contrastarla si manifesta con grande forza. È questo il punto in cui, invece, pensiamo: “Che fortuna che io non sia lì con loro!”. Il pathos viene così amplificato dalle comunicazioni tra gli ancora per poco sopravvissuti sulla montagna ed il campo base, con commoventi interventi di familiari e amici.
Nonostante la sceneggiatura tutto sommato buona, probabilmente merito del fatto che purtroppo narra una vicenda realmente accaduta, il punto debole del film risiede nella volontà del regista di voler restare fedele anche ai minimi dettagli. Se questo può sembrare un punto a favore, gli si ritorce contro nelle scene più concitate del film. Infatti, da un certo punto in poi risulta difficile distinguere gli alpinisti coinvolti in rocambolesche scene di azione in cui colori simili, se non uguali, dell’abbigliamento da scalata e volti coperti da cappucci e maschere di ossigeno, rendono quasi impossibile l’identificazione dei personaggi. La confusione che così si genera, unitamente a nomi (o cognomi) detti in sequenza e velocità, ogni tanto fa perdere il filo del film per cercare di ricordare a chi ci stia riferendo.
In conclusione, è chiaro che Everest non sia un kolossal di cui ci ricorderemo per sempre come uno dei più bei film sulle scalate in montagna, ma è comunque in grado di raccontarci una tragica storia vera, con un livello di dettaglio elevato (vedi anche foto di fine film), trasmettendoci in certa misura e senza esagerare una serie di emozioni.
Consiglio il film? Sì, ma solo a chi ama il freddo…!!!
Recensione di Giuseppe Sindoni