Set 112012
 

Roma, 10-17 Settembre 2012

Appena tornati dal lido e in attesa di illustrare più dettagliatamente alcuni dei quasi cinquanta film visionati durante il soggiorno veneziano, ecco una piccolissima guida per orientarsi all’interno della manifestazione “Da Venezia a Roma”. Appuntamento immancabile della capitale, quest’anno si svolgerà dal 10 al 17 settembre in vari cinema della città, permettendo di recuperare un gran numero di pellicole presenti alla 69 mostra di arte cinematografica (qui il programma completo).

A parte lo spiazzante “The Master” di Paul Thomas Anderson, a cui sono andati il Leone d’argento per la regia e la Coppa Volpi ai due protagonisti Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, si potranno visionare tutti gli altri vincitori del concorso, dagli splendidi “Pietà” (Leone d’oro) e “Après Mai” (Miglior sceneggiatura), al crudo “Paradies: Glaube” (Gran premio della giuria), fino a “Fill the Void”, la cui protagonista ha vinto il premio come miglior attrice.

Il consiglio è ovviamente non fermarsi a questi soli titoli, ma di avventurarsi anche nella visione di film meno discussi e che hanno trovato poco spazio sui giornali. In particolare il film in concorso “La cinquième saison” e il coreano delle Giornate degli autori “The Weight”, due pellicole certamente impegnative e di non facile assimilazione, ma che sono sembrate prevalere leggermente sull’insieme globale dei titoli presenti alla mostra.

Di seguito troverete i film divisi per categorie, in ordine di votazione (dal più alto al più basso) e un piccolo commento, buona lettura/visione.

CONCORSO

LA CINQUIÈME SAISON di Jessica Woodworth, Peter Brosens
★★★★★
Opera di una potenza visiva rara e impressionante, impregnato di un profondo spirito pagano, con dialoghi scarni e rarefatti, musiche stridenti e disturbanti e rimandi inconsci a Haneke, Bergman e Sokurov. I due registi, Jessica Woodworth e Peter Brosens brillano comunque di luce propria. Sono sicuramente necessarie visioni su visioni per comprenderlo a pieno, ma la sensazione di un possibile capolavoro è molto forte.

PIETÀ di Kim Ki-duk
★★★★½
Kim Ki-duk torna grande, e vince il Leone d’oro dopo lo scandaloso furto del 2004, dove il suo “Ferro 3” venne sacrificato per far vincere il sopravvalutato “Il segreto di Vera Drake”. Atmosfere inquietanti e violente, uno script perfetto, immerso in una società povera e squallida, dove l’abbandonarsi alla ricerca della felicità può essere una debolezza fatale.

APRÈS MAI di Olivier Assayas
★★★★½
Assayas si conferma uno dei massimi autori francesi dei nostri tempi con una rilettura critica del 68. Una riappropriazione della cultura da parte di chi non la considerava una semplice moda, o una ribellione di facciata. E poi un film che si apre con “Terrapin” di Syd Barrett e si chiude con “Decadance” di Kevin Ayers non può che essere immenso.

IZMENA (BETRAYAL) di Kirill Serebrennikov
★★★★☆
Gelido e freddo come i propri protagonisti e con una messa in scena a tratti esaltante (l’incidente iniziale della macchina o la scena d’amore dei due amanti), Izmena è un’originale e inquietante indagine sui rapporti di coppia, in cui è facile trasformarsi da vittima a carnefice (cambiarsi d’abito all’interno di un bosco può essere un ottimo aiuto).

PARADIES: GLAUBE (PARADISE FAITH) di Ulrich Seidl
★★★½☆
Con il suo secondo capitolo della trilogia sul Paradiso, Ulrich Seildl colpisce senza pietà il fanatismo religioso, ma con un gusto dell’eccesso e del grottesco da risultare a tratti quasi giocoso. E ancor più del rapporto morboso con il crocefisso o della distruzione della foto di Ratzinger, è la scena tra il marito musulmano e il gatto infuriato a risultare straordinaria.

LEMALE ET HA’CHALAL (FILL THE VOID) di Rama Burshtein
★★½☆☆
La possibile sorpresa del festival (opera prima distribuita ancor prima di essere proiettata dalla Lucky Red) risulta non del tutto riuscita. Ambientato quasi completamente in una casa ebraica, tra riti e canti religiosi e promesse di matrimonio, non conquista e non emoziona. Notevole comunque l’interpretazione di Hadas Yaron, vincitrice della Coppa Volpi.

LINHAS DE WELLINGTON di Valeria Sarmiento
★★½☆☆
Ideato dal compianto Raùl Ruiz, e filmato dalla moglie Valeria Sarmiento, “Linhas de Wellington” appare come un grande occasione mancata, dove una sceneggiatura con un ottimo potenziale non sembra essere minimamente supportata dalla regia, a tratti elegante, ma totalmente priva di mordente. E la scena a tavola tra Piccoli, Deneuve e Huppert sembra essere un semplice omaggio/saluto a Ruiz, ma nulla più.

SUPERSTAR di Xavier Giannoli
★★½☆☆
Giannoli, soprattutto nella prima parte, diverte nel mettere in scena una specie di “The Truman Show” al contrario. Ma bene presto il gioco inizia ad accusare il fiato corto, si inseriscono personaggi non del tutto riusciti e la critica ai mass-media risulta troppo semplicistica e grossolana. Ottimi comunque i due protagonisti Kad Merad e Cécile de France.

OUTRAGE BEYOND di Takeshi Kitano
★★☆☆☆
Da anni ci siamo ormai rassegnati, ma è sempre doloroso vedere il nuovo corso cinematografico di Takeshi Kitano. Completamente privo di ispirazione, più che un seguito, realizza un remake del precedente “Outrage”. Urla intorno a tavoli, viaggi in macchina e sparatorie, senza soluzione di continuità. L’unica via di uscita per il maestro giapponese sembrerebbe forse quella di tornare a collaborare con il compositore Joe Hisaishi, la cui ultima collaborazione risale a “Brother”, e con il quale ha realizzato capolavori assoluti.

SINAPUPUNAN (THY WOMB) di Brillante Mendoza
★★☆☆☆
Mendoza maschera un fluviale documentario in un film di finzione, provocando nervosismo e noia. La parte centrale in particolare, tra parti, matrimoni e uccisioni di animali risulta del tutto soporifera e priva di fascino. Il regista si ricorda di recuperare l’esile traccia narrativa nei minuti finali della pellicola, ma ormai è davvero troppo tardi.

FUORI CONCORSO

ENZO AVITABILE MUSIC LIFE di Jonathan Demme
★★★½☆
Splendido, come sempre, documentario di Jonathan Demme (recuperate “The Agronomist!”) su una delle figure più interessanti e particolari della musica partenopea. Tra racconti, ritorni sui luoghi dell’infanzia e incredibili performance con musicisti provenienti da tutto il mondo, Demme traccia uno splendido affresco sulla musica napoletana, superando di gran lunga John Turturro e il suo terribile “Passione”

THE ICEMAN di Ariel Vromen
★★★½☆
Un film di genere senza sbavature o cadute di stile, supportato da una performance straordinaria di Michael Shannon, che si rivela essere, se ancora ci fossero dubbi, tra i più grandi attori in circolazione. Ambientazione anni 70 per un killer glaciale, elegante e spietato, insensibile a qualsiasi fattore esterno, eccezion fatta per la sua famiglia (una rediviva Winona Ryder).

THE RELUCTANT FUNDAMENTALIST di Mira Nair
★★☆☆☆
Confezione patinata e stucchevole per una delle registe più sopravvalutate degli ultimi anni (vedi il Leone d’oro a “Monsoon Wedding”). Una Kate Hudson ingrassata e quasi irriconoscibile e un imbolsito Liev Schreiber conducono questa denuncia tra oriente e occidente nel periodo dell’attacco alle torri gemelle, a tratti davvero sconclusionata.

DEN SKALDEDE FRISØR (LOVE IS ALL YOU NEED) di Susanne Bier
★★☆☆☆
Altra regista donna e altro buco nell’acqua per una commedia che a tratti vorrebbe essere politicamente scorretta (il padre della sposa, la sessualità ambigua dello sposo), ma che risulta scialba e povera. Un paio di siparietti tra Pierce Brosnan e Trine Dyrholm nella parte centrale del film sono sì efficaci, ma di certo non bastano.

ORIZZONTI

WADJDA di Haifaa Al Mansour
★★★½☆
Piccola perla nascosta all’interno della sezione Orizzonti, una favola che denuncia con leggerezza e semplicità la repressione femminile nei paesi orientali. Una ragazzina di dodici anni che si serve della cultura musulmana (imparare a memoria dei passi del Corano), per sovvertire le regole al suo interno (comprare una bicicletta). Primo film di una regista donna in Arabia Saudita

GLI EQUILIBRISTI di Ivano de Matteo
★★★☆☆
Efficace e umile, “Gli equilibristi” parte da toni pacati da commedia italiana per trasformarsi in un dramma sociale, dominato da un immenso Valerio Mastandrea, per la prima volta convincente anche in ruoli più duri e disperati (molto più che in “Good Morning Aman” e nell’orribile “Un giorno perfetto”).
Retorica e patetico sono sempre in agguato, ma Ivano De Matteo li scalza con grande classe.

SENNEN NO YURAKU (THE MILLENIAL RAPTURE) di Koji Wakamatsu
★★½☆☆
Curioso film diretto da uno dei più particolari e stravaganti registi giapponesi. Nel seguire una discendenza di uomini legati dallo stesso sangue, grandi conquistatori e amatori di donne, Wakamatsu a tratti diverte (soprattutto nella prima parte), ma non convince fino in fondo, a causa di una struttura narrativa circolare che già alla seconda ripetizione perde forza e vitalità.

GIORNATE DEGLI AUTORI

THE WEIGHT di Jeon Kyu-hwan
★★★★★
Con tutta probabilità il film più estremo e perverso dell’intero festival, ma dotato di un eleganza e di uno spirito poetico propri, di questi tempi, solo dei grandi cineasti orientali. Un esaltazione nichilista e deprimente della morte come estremo atto d’amore nei confronti di emarginati quali travestiti, gobbi, necrofili sfigurati e prostitute eroinomani. Sublime e commuovente.

HERITAGE – INHERITANCE di Hiam Abbas
★★★☆☆
Convincente esordio alla regia dell’attrice palestinese Hiam Abbas (“L’ospite inatteso” e “La sposa siriana”); impreziosito dall’interpretazione della ragazza protagonista di “Cous Cous”, Heritage mostra con forte drammaticità le diversità tra la condizione femminile e quella maschile in medio oriente, seguendo i conflitti all’interno di una famiglia.

BLONDIE di Jesper Ganslandt
★★☆☆☆
Altro scontro familiare, ma di spessore assai inferiore al film palestinese, il film vede l’esplosione dei conflitti tra tre sorelle assai diverse tra loro, ma costrette, a causa della malattia della madre, a riavvicinarsi e ricongiungersi. Divisioni in capitoli con citazioni alla Tenenbaum, ma qui siamo ovviamente ben distanti dal capolavoro di Wes Anderson.

ACCIAIO di Stefano Mordini
★★☆☆☆
Opera assai confusa e sbagliata, a partire dalla scelta delle due protagoniste (a proposito di scelte attoriali giovanili, recuperate lo splendido “L’intervallo” di Leonardo Di Costanzo, presente fuori concorso). Riondino fa quel che può, ma da solo non può nulla per risollevare il film che non riesce mai a ergersi al di sopra della sufficienza.

SETTIMANA DELLA CRITICA

LA CITTÀ IDEALE di Luigi Lo Cascio
★★☆☆☆
Luigi Lo Cascio fa tutto da solo (scrive, dirige e interpreta), ma l’operazione è sbagliata fin dal principio: un piccolo incubo kafkiano completamente scollato, supportato a volte da buone prove attoriali (la madre e Roberto Herlitzka), ma soffocato da una trama a tratti ridicola e poco credibile.

Recensioni a cura di Federico Forleo

 

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