Cratta, di Fausto Romano, 20 min, Italia 2014
Prodotto da Faust cinema-teatro-scrittura, insieme a Zero Project e con il sostegno di Apulia Film Commission, Cratta, di Fausto Romano, ottiene numerosi premi e riconoscimenti tra cui il premio Fellini e il premio Dino De Laurentiis per la miglior regia e il miglior corto.
Lo scenario è quello di un piccolo paese del Sud, dove uomini e donne si dividono tra sacro e profano, e il giovane Paolino cerca disperatamente le offerte per la festa patronale.
La visione di Cratta è sorprendente, come lo è l’eclettismo artistico del talentuoso Fausto Romano che, in poco tempo, ho visto calarsi con estrema disinvoltura nel ruolo dello scrittore, del performer teatrale e cinematografico, e in quello del regista.
La messinscena, arricchita dall’impeccabile fotografia di Francesco Di Pierro e dalle bellissime musiche di Cesare Dell’Anna insieme a Opa Cupa, costringe lo spettatore a immergersi in una storia senza tempo, e a seguire il filo delle immagini tracciato dalla macchina da presa. Immagini che viaggiano parallele alle storie dei personaggi e che, nello stesso tempo, riecheggiano il cinema di Tati, Keaton e Chaplin.
Anche i luoghi, spesso stranianti ma anche drammaturgicamente funzionali, fanno da sfondo a primi piani da spaghetti-western, trasportando lo spettatore in una favola contemporanea in cui la fantasia è totalmente al servizio del nostro autore, il cui linguaggio originale spoglia dei canonici abiti anche i simboli della religiosità, che diventano loro stessi personaggi.
E allora mi è venuta voglia di chiedere, di cercare, insieme a Fausto Romano.
Chi è Fausto Romano?!
Fausto Romano – Fausto Romano è una persona che inventa delle storie.
Mi piace definirmi un cantastorie, che poi è una figura legata alla mia terra, il Salento, dalla quale non sono scappato, semplicemente sono andato a “cercare” anche altrove. La mia famiglia non ha mai avuto velleità artistiche (non mi hanno trasmesso la passione per il cinema né mi hanno mai regalato un libro) ma ogni giorno stare lì con loro era come trovarmi in un teatro all’aperto, dove accadevano cose buffe: il gesticolare, il vivere la quotidianità con tutte le sue sfumature, i suoi rituali, come la vicina che veniva sempre a prendere il caffè. La mia terra l’ho rivalutata nella distanza e sono orgoglioso di questo suo aspetto magico, tellurico. Galatina, il mio paese, ad esempio, è la terra del tarantismo.
Come nasce Cratta? Ogni artista ha una sua, se così vogliamo chiamarla, “urgenza”. Qual è stata quella che ti ha spinto a realizzare questo corto?!
F.R. – Non la chiamerei un’urgenza, più un incontro con le immagini. Ricordo di aver visto una slot machine trasportata a spalla, come fosse un santo, e da questa prima immagine nasce Cratta. E dentro questo corto c’è la mia terra, i ricordi d’infanzia, le processioni religiose. Sono stato molto vicino a quel tipo di religiosità fatta di riti, usanze. Direi che ho respirato tanto incenso. Penso che la religione possa diventare una grande dipendenza, come il gioco d’azzardo, da qui questo connubio tra sacro e profano. Ho voluto trasformare il rito religioso in un rito dissacrante. Si tratta pur sempre di chiedere una grazia, che sia a Dio o alla Fortuna.
Qual è il cinema che più ti ha ispirato? E il cinema che ami? !
F.R. – Il cinema che più mi ha ispirato è il cinema di Tati, Chaplin, il cinema che privilegia l’immagine. Quando penso alla realizzazione di un film non penso mai al dialogo, ma all’immagine. Penso che il sonoro, laddove venga utilizzato in maniera eccessiva, faccia diventare l’immagine rumore. Avviene una sorta di ritorno, con accezione negativa però, al cinema muto, proprio perché questo eccesso in realtà non dice nulla, non è capace di comunicare. Tuttavia, mi piace molto giocare con le parole, quando scrivo ad esempio, ma se penso al cinema scelgo l’immagine.
Il cinema che amo è il cinema di Federico Fellini, Dino Risi, Ettore Scola, Andrej Tarkovskij.
Quanto è importante “credere” in un’idea? E quanto è importante la solitudine nel lavoro di scrittura? Mi viene in mente, a riguardo, una frase di Haruki Murakami ne Il mestiere dello scrittore, che una volta mi hai citato: “Questo significa scrivere. Un lavoro gramo che richiede tempo e fatica.” E mi viene in mente anche Sylvia Plath, che si definiva “solitaria come l’erba”.!
F.R. – L’idea, se è quella giusta, se è mossa da una vera ispirazione, ti rimane dentro, diventa un fuoco e tu decidi di non spegnerlo. Quando scrivo penso sempre ad una storia che vorrei prima raccontare a me stesso, e poi agli altri. Nel silenzio, nella solitudine, scrivere è anche un pò un’attività sofferta perché si scava molto dentro di sé e proprio per questo richiede anche una ferrea disciplina. Non c’è nessuno che fa il tifo per te, tu sei il primo critico ed estimatore di te stesso.
Poi c’è il confronto con gli altri. Un detto salentino recita: “Dalla capu fate nu pesce”. Quindi, direi che se il regista riesce a creare armonia, tutto funziona. È come il gioco per i bambini: nel giocare ci si impegna, e ci si diverte nello stesso tempo. È un gioco, ma serio. L’opera d’arte non è il film, lo spettacolo, il libro, ma è nel tempo che separa l’atto del creare dal prodotto finito.!
Grazie Fausto per il piacevole incontro!
F.R.- A Voi!
Intervista di Giusi de Santis