Caos calmo regia di Antonello Grimaldi (2008), con Nanni Moretti, Alessandro Gassmann, Blu Yoshimi, Valeria Golino, Isabella Ferrari, Silvio Orlando, Roman Polansky
L’elaborazione del lutto e la rimozione del dolore sono i temi di questo film di Antonello Grimaldi, tutto sommato abbastanza riuscito, che l’ha tratto dal noto romanzo di Sandro Veronesi, vincitore del premio “Strega” del 2006.
Vi si narra l’esperienza di un manager di grande successo nel settore televisivo, Pietro Paladini interpretato magistralmente da Nanni Moretti, che nel giorno in cui salva dall’ annegamento in mare una donna (Isabella Ferrari), perde improvvisamente la propria moglie.
L’uomo, confusamente consapevole che la drammaticità della situazione richiede una profonda rielaborazione interiore ed una verifica della propria esistenza, decide di fermarsi. Si congeda dal lavoro e si apposta su di una panchina nel mezzo di un giardino di fronte alla scuola della figlia di dieci anni (Blu Yoshimi, bravissima), al fine di seguirla e tutelarla, per l’intera giornata. Egli non riesce comunque a rispondere agli interrogativi che provengono dal sé interiore, non riesce a dare espressione al suo dolore. Distrugge senza aprirli i files attestanti la corrispondenza che la moglie intratteneva con un noto scrittore di favole ed apprende dalla nevrotica sorella di lei della sua infelicità. In breve la panchina diventa la sede ove i suoi amici, i colleghi di lavoro, la sorella della moglie, vengono a trovarlo ed a confidargli i loro problemi, i riassestamenti proprietari ed i giochi di potere nella sua azienda, come se fosse lui in grado di fornire loro quella chiarezza interiore che non hanno. Sarà il rapporto sessuale con la donna che ha salvato, furioso ed impacciato ma forse per questo più credibile, a riportarlo bruscamente alla vita.
Il film ha momenti di intenso lirismo ed altri invece in cui la ricerca dell’immagine poetica ad ogni costo risulta nociva alla narrazione. L’interpretazione di Nanni Moretti è straordinaria. Memore del suo splendido “La stanza del figlio”, rigoroso e doloroso ritratto di un padre che perde il figlio adolescente, in quest’opera riesce a superarsi esprimendosi con i gesti (il bel gioco con il ragazzo disabile), con le espressioni del volto (il rapporto con la misteriosa ragazza col cane che alla fine avrà l’occasione di conoscere) e non rinunciando, in qualche caso, alle battute al fulmicotone cui siamo abituati come, per esempio, quella sul cinema italiano; il tutto, però, risente di una certa piattezza nello stile narrativo che risulta a volte forse anche per la provenienza “televisiva” del regista.
La colonna sonora alterna momenti del tutto inutili e roboanti (le percussioni iniziali, il momento del salvataggio in mare) ad altri molto evocativi (la splendida “Pyramid song” dei Radiohead) per chiudere infine con Ivano Fossati.
Si tratta comunque di un’opera meritevole, che rappresenta degnamente l’Italia al Festival di Berlino, che vale la pena di guardare e commentare.
Recensione by Dark Rider