Regia di Jim Sheridan. Con Natalie Portman, Tobey Maguire, Jake Gyllenhaal, Sam Shepard, Bailee Madison, Taylor Geare. Durata 108 min. – USA 2009.
New Mexico, fine 2007: pochi giorni prima di ripartire per l’Afghanistan il capitano dei marines Sam Cahill, felicemente sposato con Grace, l’amore del liceo nonché madre delle sue bambine, va a prendere il fratello, lo scavezzacollo Tommy, in uscita dal carcere in libertà condizionata. Sam riparte per il fronte, dai suoi ragazzi, come ama chiamare i soldati che lo aspettano, non prima di aver invano cercato di far riavvicinare il padre Hank, reduce del Vietnam a suo figlio Tommy, al quale sembra non aver mai voluto davvero bene e col quale sembra avere in comune solo il vizio del bere. L’elicottero che trasporta il plotone del Capitano Cahill viene abbattuto dai talebani ed a Grace arriva la notizia della scomparsa del marito che, sopravvissuto all’incidente, viene fatto prigioniero tra le montagne mentre negli Usa viene commemorato come eroe.
Il dramma familiare spinge Tommy a tentare di mettere a testa a posto, prendendosi cura della cognata e delle nipotine, addirittura riconciliandosi col proprio passato di delinquente e riavvicinandosi al padre, fino a quando l’improvviso ritorno di Sam anziché rimettere ogni cosa al suo posto, sconvolgerà drammaticamente l’esistenza di tutto il nucleo familiare.
“Solo i morti vedono la fine della guerra”: questa frase pronunciata da Sam (uno scheletrico, allucinato ed apprezzabile Tobey ‘Spider man’ Maguire) sembra ben sintetizzare il taglio che Jim Sheridan ha voluto dare alla sua versione del melodramma “Brodre” della danese Susanne Bier, uscito da noi col titolo “Non desiderare la donna d’altri”. La guerra lascia segni indelebili, non importa se si è al fronte o in un’accogliente casetta di provincia, non importa che si parli di Corea, Vietnam (ricordate il Tommie Lee Jones de ‘Nella valle di Elah’?), Afghanistan o delle decine di guerre dimenticate in giro per il mondo. Gli effetti devastanti non sono solo quelli di morte e distruzione nei luoghi di battaglia, ma anche quelli provocati nelle menti e nelle vite di tanti uomini e donne che apparentemente ‘ce l’hanno fatta’, che sono sopravvissuti, che sono tornati a casa, minacciando di demolire le certezze sulle quali costruiscono le loro vite, turbando gli equilibri familiari in modo irreversibile. Il dolore, poi, può portare a trovare la medicina in luoghi o persone che mai ci si aspetterebbe di frequentare. Il cineasta irlandese sembra prediligere le storie di famiglie in difficoltà, dopo ‘Nel nome del padre’ , ‘In America’ e ‘Il mio piede sinistro’. La famiglia come tesoro da custodire e da proteggere, continuamente minacciato dalla violenza delle armi o della società, fragile scrigno delle nostre risorse e dei nostri sentimenti più veri e profondi.
Sostenuto da ottime prove d’attori, oltre al già citato Maguire un intenso Sam Shepard, un’affascinante e delicata Nathalie Portman (piccole donne crescono) ed un convincente Jake Gyllenhaal, il film risulta ben costruito nel continuo alternarsi tra le scene di vita domestica e quelle di guerra, tra la neve sempre presente del New Mexico e la polvere del deserto afgano e ben esprime il disagio del reduce e della sua impossibilità al ritorno alla vita di tutti i giorni.
Lascia qualche perplessità la descrizione un po’ troppo grossolana dei ‘cattivi’ talebani; da un regista europeo come Sheridan ci saremmo aspettati una visione meno hollywoodiana e superficiale del nemico ‘con la barba lunga’.
Recensione di Fabrizio