AVATAR
di James Cameron. Con Sam Worthington, Zoe kamagra jelly Saldana, Sigourney Weaver, Laz Alonso.
166 min. – USA 2009.
Nonostante il limite della storia, che è praticamente una versione di Pocahontas con i puffi nello spazio, la prima cosa che vorrei dire è che mi sono divertito: è stata l’esperienza più verosimilmente extraterrestre che abbia mai fatto nella vita, ed essendo uno dei miei più grandi desideri di sempre quello di andare su altri pianeti, ammetto che il mio giudizio è di parte. C’è comunque qualcosa che non torna e, forte del fatto che Avatar ha appena polverizzato ogni record d’incasso, non penso che la mia piccola critica nuocerà al team di professionisti coinvolti nel progetto (molti dei quali miei cari amici, oltre che colleghi).
Prima di affrontare le criticità, parliamo di quello che ha indubbiamente funzionato.
Il primo posto spetta allo spessore: per un film di questa dimensione riuscire a mantenere coerenza di stile, immagine e art direction per tutte le migliaia di scene e i milioni di fotogrammi è un risultato incredibile, mai riuscito finora, persino ignorando l’aspetto 3D. Talmente strabiliante da minimizzare qualsiasi altro difetto: una volta che entri nel film non ne esci più.
Altra cosa notevole è che tutti gli elementi si muovono alla perfezione. I personaggi principali, quelli secondari, gli animali, persino ogni filo d’erba. E questo grazie al processo di produzione virtuale, fortemente voluto da Cameron che ha stabilito l’impostazione delle scene in camera allo stesso tempo della coreografia dell’animazione contrariamente a quanto avviene di solito. Infatti gli addetti agli effetti speciali sono spesso costretti ad adattare l’animazione di un personaggio al montaggio di una scena già esistente a spese del realismo del movimento. Insomma a livello di visual effects è e sicuramente rimarrà una pietra miliare, anche se tra qualche anno il film perderà la sua patina di novità e verrà visto con gli stessi occhi di chi oggi si imbatte nel vecchio King Kong girato nel 1933.
Restando nel presente, è molto difficile riuscire a puntare il dito su cosa non funzioni, soprattutto perché, essendo un professionista anch’io, vedo che i passaggi essenziali alla creazione di un effetto digitale sono tutti eseguiti alla perfezione. L’ultimissima tecnologia è stata impiegata, le migliori persone nel campo sono state ingaggiate, ma allora, che cos’è che non va?
Bene, penso che quello che manca è proprio l’imperfezione, l’incidente, la casualità. Il risultato è una versione della realtà che seppur fantascientifica, risulta comunque artificiosa, innaturale, poiché pensata e creata a tavolino, completamente priva di imprevisti. Oggi i film hanno troppe cose disegnate, strofinate, corrette, ripulite, e poi ridisegnate di nuovo, dal singolo oggetto al fascio di luce, ai capezzoli di Neytiri, così attentamente coperti da una collana manovrata da un infaticabile stuolo di animatori.
Ora sto divagando ma tutta questa attenzione all’animazione della collana mi rammenta quei film preistorici degli anni sessanta, con donne dotate di fintissime parrucche lunghe per coprire il loro seno. Mi sarebbe piaciuto vedere una versione incensurata con Neytiri senza la dannata collana, non perché abbia qualche strana ossessione per capezzoli alieni ma perché essendo cresciuto in una città dove la nudità è esposta in ogni angolo di strada nelle statue e senza troppi problemi, tutto questo pudore mi sembra un po’ ipocrita. Ma comprendo il nervosismo dei produttori nel limitare un film così costoso ad una audience di soli adulti…
Tornando a noi, in passato molto del realismo si otteneva grazie all’uso di modelli in miniatura che, dovendo obbedire alle leggi della natura, sono soggetti a piccole imperfezioni che li rendono più reali. Queste piccole genialità, che avvengono spontaneamente quando si esplora la realizzazione di un modello, non avvengono in Computer Graphic dove tutto è calcolato, predetto, progettato. Le imperfezioni vengono aggiunte in seguito, ma anch’esse sono progettate, non spontanee. E l’occhio umano ha una capacità incredibile di cogliere queste minuzie.
Non penso che tutti questi problemi siano semplicemente colpa di computer e programmi: sappiamo che grazie a loro è possibile ricreare con grande realismo ogni cosa. Il problema quindi non è nel computer, quanto nella capacità di ricreare cose che esistono solo nella nostra mente.
Molti anni fa lavorando come illustratore avevo lo stesso problema: dovendo creare un qualcosa di fotorealistico, non avevo problemi a dipingere le immagini che avevo in mente, ma a queste mancavano tutti i dettagli che la mia stessa mente non poteva o non aveva bisogno di produrre. Quello che potevo immaginare era solo la percezione e non la realtà di un’immagine, quindi per poter aggiungere un po’ di vita alle mie illustrazioni ho sempre avuto bisogno di ricorrere all’aiuto di foto che mi davano indicazioni precise di dettagli che non ero in grado di immaginare. Quindi, confrontandomi con gli addetti ai lavori, non mi sorprendo di apprendere che per poter realizzare Pandora hanno dovuto ricorrere a delle foto anch’essi (incluse numerose foto fatte in Queilin scattate da un pallone aerostatico).
Credo che una volta raggiunto l’obiettivo di poter elaborare scene al computer con minor sforzo e minor budget, solo allora potremo avere il lusso di reinserire di nuovo quell’elemento di caos, di vita, di incidenti fortunati che non sono pianificati o disegnati, ma semplicemente accadono.
Avatar è semplicemente questo: un grande esercizio di immaginazione, ma che non accade, non va più in là dell’immaginazione di quelli che lo hanno creato.
Giancarlo Lari
(Creatve Director and CG Supervisor for Digital Domain and ILM, SF Ca.)
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