Almanya – La mia famiglia va in Germania, di Yasemin Samdereli con Vedat Erincin, Fahri Ogün Yardim, Lilay Huser, Manfred-Anton Algrang. Durata 101 min. – Germania 2011.
Almanya è un film fatto per emozionare, ma anche per veicolare un chiaro messaggio sull’integrazione possibile tra diverse culture, senza mancare di divertire. La storia è quella della famiglia di Hüseyin Yilmaz, un turco che emigra in Germania e che mantiene sempre un forte legame affettivo con la madrepatria, rafforzato dall’acquisto a distanza di una casa, sulla quale cerca di coinvolgere i famigliari, ormai però troppo integrati nella società tedesca per poterla apprezzare. Un viaggio collettivo in Turchia consentirà a tutti – ciascuno ugualmente protagonista e con la sua personale visione – di evidenziare le differenze tra le due culture, ma anche la profonda continuità che lega le loro vite con la storia che si è svolta in quei luoghi.
Il film rientra in un filone classico, quello del radicamento problematico delle famiglie immigrate nelle realtà urbane europee, di cui non mancano gli esempi, sia per i turchi in Germania, con 40 mq di Germania (1986), ma soprattutto per gli indo-pakistani a Londra, un genere, che va da East is East a Sognando Beckham, sul quale si è cimentato pure Stephen Frears (My Beautiful Laundrette).
Qualcuno ha accusato il regista Yasemin Samdereli di aver esagerato un po’ troppo col miele, e forse è vero, ma le emozioni che provoca Almanya – un film sempre piacevole e persino comico – di certo non fanno male. In fin dei conti, Almanya è un’opera autenticamente buddhista, perché la sua preoccupazione principale è in realtà quella di far emergere un altro messaggio: che non bisogna avere paura né dei cambiamenti, né della morte stessa, il cambiamento per eccellenza, perché sono connaturati alla vita stessa. E per superare tale paura dobbiamo acquistare – come ha fatto la famiglia nel suo viaggio a ritroso – la consapevolezza che tra noi individui, oltre che tra noi e il mondo, la separazione è solo apparente, perché siamo un’unica cosa con tutta la storia che abbiamo alle spalle.
Recensione di Paolo Subioli