Allacciate le cinture, di Ferzan Ozpetek. Con Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Carolina Crescentini, Luisa Ranieri, Francesco Scianna, Elena Sofia Ricci, Carla Signoris, Paola Minaccioni, Giulia Michelini. Drammatico, durata 110 min. – Italia 2014
Che Ozpetek, sia un regista di talento è fuori dubbio e lo dimostra quando riesce a dominare il dramma con la leggerezza della comicità. Che ultimamente non sia riuscito a brillare per originalità invece, lo dimostra quando cerca di raccontare il dolore, calandosi nel dramma: ecco che scade nella retorica e annoia. Questo è quello che è successo con Allacciate le cinture. Non dirò dunque di “evitare il film”, ma non me la sento di consigliarlo.
Vorrei però, partire da quello che mi è piaciuto del film: gli attori, in modo particolare il giovanissimo Filippo Scicchitano, che è sicuramente il più bravo e il più sincero. Le simpatiche e divertenti, senza sorprese, Carla Signoris ed Elena Sofia Ricci e la straordinaria perfetta emozionante, commovente ed esilarante (sono una sua fan) Paola Minaccioni. Degli altri cosa dire? I due protagonisti incarnano in qualche modo, loro stessi. Da una parte la brava e intensa Kasia Smutniak, bella solare e determinata, esattamente come sembra esserlo anche nella vita e dall’altra, uno scialbo, goffo, narcisistico e poco comunicativo Francesco Arca, la cui presenza scenica è troppo ingombrante e non solo fisicamente. Cosa non mi è piaciuto: la storia. I due protagonisti sono belli e si amano. Fino a qui tutto sembra essere un cliché. Si amano e si attraggono perché sono diversi e a dispetto dell’opinione di tutti: altro cliché. Lei si ammala di cancro al seno e si sottopone alla chemioterapia, se morirà o guarirà non è dato saperlo, ma ovviamente non morirà il loro amore. Un amore che ha sfidato tutto e tutti, nonostante lui la tradisca continuamente, non si interessi del menage familiare, dell’educazione dei figli, degli impegni di lavoro di lei. Due estranei che dividono un appartamento. Tutta la storia è arricchita da brevi gags di vita quotidiana e di relazione, che trasportano il dramma nella farsa e se questo ha funzionato molto bene in Saturno Contro e in Mine Vaganti, in questo caso non si amalgamano al racconto. La storia, dunque è banale, la sceneggiatura è incongruente troppo incentrata sulla figura della protagonista femminile e pochissimo sulla dinamica del racconto. Primi piani, occhi che lacrimano, mani che si cercano, corpi che si sfiorano: il linguaggio dei sensi, il silenzio delle emozioni che dovrebbero trascinare lo spettatore dentro questa storia e invece annoiano. Non c’è la forza de la Finestra di fronte, quella emozione travolgente del desiderio e della ribellione. Il film parla di amore, in tutte le sue forme: quello genitoriale, quello tra amici, quello tra amanti. L’amore con le sue contraddizioni e il suo grande respiro, ma il film di Ozpetek non riesce proprio a trasmetterlo. Mi chiedo se il film ha perso di pathos perché è mancata un’adeguata interpretazione o se ci siamo trovati davanti a qualcosa di già visto. Nessuna sorpresa. La cosa più bella è alla fine del film, A mano a mano di Riccardo Cocciante, cantata da Rino Gaetano.
Recensione di Costance