Se non fosse scomparso tre anni fa, il 19 gennaio 2016, Ettore Scola avrebbe senz’altro sottoscritto l’appello recentemente lanciato da Repubblica, “La Storia è un bene comune”, in cui si invoca il ripristino di questa materia agli esami di maturità delle scuole superiori. Un appello per contrastare il pericolo che la realtà storica possa nel tempo venire dimenticata, travisata, negata. Per i più giovani quanto sarebbe utile affiancare ai testi scritti la visione di qualche film? Con il suo cinema Ettore Scola ha raccontato tanti momenti di storia nazionale. Un titolo? C’eravamo tanti amati in cui immortala tre amici lungo trent’anni di amori, lotte, sacrifici, ambizioni e velleità, dal periodo della Resistenza fino a ridosso del referendum sul divorzio del 1974. Tra l’ intellettuale polemico (Nicola-Stefano Satta Flores) e il cinico arrivista (Gianni-Vittorio Gassman), sarà il portantino d’ospedale (Antonio-Nino Manfredi) quello che alla fine dà prova di aver saputo affrontare e superare ogni genere di difficoltà rimanendo fedele ai suoi ideali. Il film è ancora al missaggio quando giunge la notizia della morte di Vittorio De Sica. Per questo gli è stato dedicato, considerato anche il fatto che Ladri di biciclette (1948) riveste un ruolo importante nella dinamica degli eventi narrati.
Nato in Irpinia, a Trevico, il 10 maggio 1931, ancora bambino Ettore Scola si trasferisce a Roma con la famiglia e già da giovanissimo dimostra una precoce passione per il disegno e la caricatura. Grazie a questo spiccato talento collabora alla rivista satirica “Marc’Aurelio” dove conosce Federico Fellini nonché Marcello Marchesi e Vittorio Metz, i due grandi umoristi che dal 1946 al 1952 andavano sceneggiando tutto il cinema italiano (in special modo i film con Totò). Scola entra a far parte della loro scoppiettante fucina inventando gag e sketch anche se i genitori vorrebbero che si laureasse in Medicina. Nel frattempo comincia a scrivere per Alberto Sordi le macchiette radiofoniche di Mario Pio e il Conte Claro.
Poco più che ventenne passa di grado e firma le prime sceneggiature tra cui quelle di un cult-movie come Un americano a Roma (Steno, 1954), seguito da Il sorpasso (1962) e I Mostri (1963), entrambi diretti da Dino Risi, quest’ultimo emblematico esempio di quella commedia all’italiana il cui insuperato capostipite resterà I soliti ignoti (Mario Monicelli, 1958). Sono questi gli anni in cui stringe sempre più amicizia con i più rappresentativi esponenti del cinema italiano, sceneggiatori come Age (Agenore Incrocci), Furio Scarpelli o Leo Benvenuti; registi come Fellini, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Giuliano Montaldo, Dino Risi e Antonio Pietrangeli per il quale firma la sceneggiatura di Io la conoscevo bene (1965), proprio quando ha appena girato il suo primo film da regista, Se permettete parliamo di donne (1964), otto episodi capitanati da Vittorio Gassman.
“Ho incominciato facendo film comici, tra farsa e satira, ma poi l’osservazione della mia generazione e di quella precedente, la visione più attenta della società che si era costruita nel dopoguerra, hanno contribuito a formare una sorta di ‘sentimento del tempo’ che mi ha portato a vedere i personaggi nella prospettiva più complessa del loro destino, anche doloroso”. Ironia, malinconia e disincanto caratterizzano il cinema di Ettore Scola, uno dei padri nobili della commedia italiana, interessato a esaminare da vicino (quasi come un entomologo) personaggi ineluttabilmente inseriti in un contesto sociale di cui rispecchiano, patiscono, auspicano i progressivi mutamenti. Certamente una scelta stilistica e di contenuti da parte di un regista che ha sempre partecipato attivamente alla vita politica del Paese. E così può succedere che, durante un comizio di Pietro Ingrao a piazza San Giovanni, il muratore Oreste-Mastroianni si aspetti di ricevere un sostegno per risolvere i suoi affanni sentimentali perché, da compagno militante, ritiene che la funzione del Partito Comunista sia anche quella di farsi carico delle vicende private dei singoli individui. Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca (1970) segna per Ettore Scola il primo grande successo. Tre indimenticabili proletari, coinvolti in un triangolo amoroso finito male: la fioraia sognatrice (Monica Vitti), il pizzaiolo che fa le pizze a cuore (Giancarlo Giannini) e quel muratore che va alla deriva quando perde la sua donna, per la cui interpretazione Mastroianni si aggiudicò la Palma d’Oro al Festival di Cannes.
Regista e sceneggiatore (per i suoi film si avvale anche della preziosa collaborazione di Ruggero Maccari e di Age e Scarpelli), continua nel tempo a testimoniare tappe importanti nella storia del costume e della nostra società, compresi i fallimenti e le miserie di certi intellettuali, proprio lui che detiene strumenti e profondità di analisi tipiche del più raffinato intellettuale. Forse per questo non esita a denudare quelli che affollano La terrazza (1980), film che ha ispirato Paolo Sorrentino per la realizzazione de La grande bellezza (2013). Sulla terrazza romana di Ettore Scola si raccolgono tanti di quegli attori che ha già diretto, da Gassman, Tognazzi, Mastroianni o la Sandrelli ma lui si conferma un grande maestro anche quando governa un cast pressoché sconosciuto al pubblico italiano in un’opera tutta musicale e senza dialoghi, Ballando ballando (1983), cinquant’anni di storia, stavolta francese, ripercorsi all’interno di una sala da ballo: dalla vittoria del Fronte Popolare nel 1936 alle campane di Nôtre-Dame che annunciano la liberazione e l’arrivo degli americani, e poi la guerra d’Indocina e d’Algeria, fino al maggio del 1968. Una colonna sonora di oltre sessanta celebri motivi con gli stessi protagonisti che, epoca dopo epoca, mutano acconciature, passi di danza, fremiti, vizi e accoppiamenti. Il film gli vale il premio per la miglior regia al Festival di Berlino, tre César e una nomination all’Oscar.
Con La famiglia (1987) scruta il fluire del tempo senza alcuna nostalgia. All’interno di un appartamento s’agita per ottant’anni il microcosmo di una famiglia borghese, le vite di nonni, bisnonni, nipoti e pronipoti, genitori, figli, fratelli. Per le medesime stanze si alternano arredi, amori, odori, speranze, delusioni, contrasti, dipartite, nascite. Quella di Scola è una lettura minimalista. La “straordinarietà” della vita quotidiana, secondo la magistrale intuizione di Cesare Zavattini. A volte predilige personaggi al limite del grottesco che attivano picchi di intensa drammaticità, basti citare il piglio feroce di Nino Manfredi e tutto il suo parentado costretto a condividere una misera baracca dove, senza alcuna pietà, viene pianificato ogni genere di nefandezze (Brutti, sporchi e cattivi, 1976). Altro premio per la miglior regia al Festival di Cannes.
Nell’arco della sua prolifica ed eclettica attività dirige 41 film continuando a indagare su molteplici ambiti dell’organizzazione sociale nazionale con sguardo a volte indulgente, a volte decisamente caustico. “Le nostre sceneggiature duravano anni di lavoro, mentre leggo con piacere che oggi i giovani impiegano non più di un mese a risolvere una sceneggiatura”. Scola ha sempre ritenuto il testo la struttura portante di un film. Quante esilaranti battute ricordiamo ancora?: “No grazie, non posso mangiare idrocarburi”, (Elide-Giovanna Ralli ancora “cicciottella” in C’eravamo tanto amati); “Sono intorcinato su me stesso come un involtino” (Oreste-Mastroianni); “Aritanga rompa coiota” (Manfredi in Riusciranno i nostri eroi); “Ucci ucci sento odor di puttanucci” dice il cieco e Adelaide-Vitti risponde sbrigativa “So’ io, so’ io”. Tanto per citarne solo alcune accompagnate dalle soavi e maestose colonne sonore di Armando Trovajoli che ha saputo reinventare magiche atmosfere per immortalare Roma. Ma il cinema e la grandezza di Scola hanno varcato i confini nazionali, a dispetto di qualche critico schizzinoso.
“Nella critica italiana esiste una provinciale esterofilia, citano ora sceneggiatori americani. E pensare che in America ho parlato con Dennis Hopper, il quale mi ha detto che il suo Easy Rider gli era stato ispirato proprio dal nostro Sorpasso. I meriti qualche volta sono anche nostri”. Quanti registi vengono celebrati più all’estero che in Italia? Magari in un teatro di New York, dove fu organizzata una proiezione di Una giornata particolare (1977), considerato uno dei film più importanti del dopoguerra europeo nonché il suo capolavoro. Una proiezione accolta da applausi scroscianti a cui Scola, con la scusa di restarsene in strada a fumarsi una sigaretta, voleva sottrarsi essendo restio all’enfasi e a qualsiasi forma di trionfalismo. Senza enfasi o retorica mette in scena l’intensa e fugace storia d’amicizia e solidarietà ambientata in una Roma fascista in procinto di accogliere Adolf Hitler. Per partecipare alla sfilata corrono tutti eccetto i due protagonisti, Antonietta e Gabriele, che riempiono ogni inquadratura mentre la radiocronaca della grande parata appare sempre più lontana, quanto l’anziana portinaia (impicciona e baffuta) li tallona sempre più da vicino.
L’incontro casuale tra una casalinga-moglie-madre fervida sostenitrice del Duce (Sophia Loren) e uno speaker radiofonico condannato al confino perché omosessuale (Mastroianni) potrebbe raccontare da solo molto più di tante pagine di Storia. Nel perimetro claustrofobico di piccoli appartamenti di edilizia popolare, dalla banale quotidianità scaturiscono comportamenti imprevisti, un’intimità eversiva: anche se alla fine di una giornata particolare tutto tornerà come prima, quella scintilla di trasgressione resterà bene impressa nella loro memoria. Colori smorti della Roma fascista, senz’altro più suggestivi di quelli accesi di un altro film di Scola ambientato sempre nello stesso periodo, il 1938. In Concorrenza sleale (2001) un raffinato sarto milanese (Diego Abatantuono), dopo tanti contrasti e diverbi, si ritrova solidale al fianco di un modesto sarto ebreo (Sergio Castellitto), subito dopo l’emanazione delle leggi razziali.
Il 10 maggio Ettore Scola avrebbe compiuto 88 anni. In omaggio al suo amico Fellini nel 2013 aveva realizzato il suo ultimo film, Che strano chiamarsi Federico, un album di immagini e di memorie, materiali di repertorio e narrazione originale che toccano l’arco di una vita, a cominciare dal loro giovanile incontro al “Marc’Aurelio”. Poco prima della sua morte Scola era stato invitato a inaugurare l’apertura del “Museo del Neorealismo” a Fondi, la cittadina laziale dov’è nato un altro grande maestro italiano, Giuseppe De Santis. Fino alla fine ha mantenuto intatte la passione per la politica e il cinema, un’inesauribile curiosità intellettuale e, sopra ogni cosa, un’ironia che oscillava tra l’umorismo inglese e il romanesco petroliniano. Un’ironia che gli ha permesso di traghettare storie laddove farsa e tragedia diventano un tutt’uno. “E’ in questa direzione che credo di aver lavorato: verso una commedia italiana nella quale, dietro l’eredità del neorealismo e le “magie” della satira, traspariva l’apologo civile”.
Ornella Magrini