Bentornati negli anni’90, negli anni nel quale il Britpop dettava legge, in un mondo musicale drasticamente diverso da quello attuale, dove la musica inglese dominava le scene e non si riusciva a stare dietro a un’offerta impressionante, l’Inghilterra, il Galles, la Scozia deliveravano artisti e bands quotidianamente, il tutto ben spalleggiato e foraggiato da magazines molto influenti come Nme e Melody Maker. I Suede parvero raccogliere in qualche modo l’eredità molto pesante degli Smiths come impatto sul pubblico, seppure come band fossero più glam e decadenti. Le chitarre di Bernard Butler e il carisma di Brett Anderson andavano perfettamente a rimpiazzare nell’immaginario ferito dallo scioglimento degli Smiths, le figure di Morrissey & Marr.
Quasi senza farsi vedere Neil Young si affaccia per un inizio di concerto davvero memorabile: prima siede al pianoforte per “After The Gold Rush”, poi con la chitarra acustica pesca da “Harvest” due tra i suoi brani più famosi, “Heart of Gold” e “The Needle and the Damage Done”, infine si siede nuovamente, stavolta al pump organ, per “Mother Earth”, che anticipava già nel 1990 alcuni dei temi approfonditi nel tour di quest’anno.
Glen Hansard e Bruce Springsteen: un legame e un ammirazione da parte del songwriter irlandese verso il Boss sconfinata. L’ho visto e lo avete sicuramente molte volte fare “Drive all night” da “The River” come suo personale omaggio, sia live con Jake Clemons (Sassofonista della E Street Band di Bruce e nipote del compianto Clarence) o con Eddie Vedder, sia sul palco proprio con Bruce in quel di Kilkenny quando Glen suonò prima di Bruce per poi raggiungerlo on stage proprio per un bellissimo duetto su questo brano.
Oppure l’avete sentita su cd proprio con Jake Clemons ed Eddie Vedder.
Il tour italiano estivo di Glen si è intersecato con le date di Milano di Bruce senza mai incontrarsi.
Abbiamo in passato parlato molto spesso di Glen Hansard, dei Frames e dei vari tour e concerti visti qua in Italia e a Dublino. Vi ho raccontato storie dal backstage, vi ho descritto i due concerti per i 25 anni della band giusto un anno fa agli Iveagh Gardens di Dublino e tante altre scorribande con la band irlandese, forte di un’amicizia e un legame con il songwriter irlandese che va molto indietro nel tempo.
Ma in occasione delle date estive italiane voglio raccontare lo speciale rapporto che Glen ha instaurato con dei musicisti italiani (me presente) che hanno reso dei live show veramente speciali e particolari.
A dispetto di tutti questi riferimenti per nulla nascosti la musica di Ryley Walker è ben lontana da un’imitazione o da una riproduzione calligrafica, che peraltro risulterebbe assai poco credibile data la grandezza delle personalità in questione: i brani del chitarrista americano risultano invece freschi, sinceri, coinvolgenti nelle loro trame vocali e chitarristiche alla ricerca di serenità e di introspezione, o nei loro momenti più intensi, esplorando le dinamiche più forti che la sua bellissima Guild può consentire.
Il chitarrista intona sulla sua chitarra il Do ribattuto all’infinito che introduce l’ultimo brano della serata, “The Only Moment We Were Alone”: l’intera essenza degli Explosions in the Sky è racchiusa interamente in questi dieci minuti abbondanti di musica, al suo interno sono presenti tutti i caratteri stilistici fondamentali di una carriera che ha ormai superato i 15 anni di attività.