La scaletta miscela brani della tradizione popolare a composizioni originali, dialetto e lingua italiana, saltarelli e brani più legati alla tradizione autoriale, sorriso e malinconia, ironia ed amarezza, in un equilibrio ben calibrato e collaudato.
Cosa c’è di più bello che arrivare nella città del tuo cuore e scoprire che la notte dopo il tuo arrivo ci sarà una delle tue band preferite dal vivo nel più bel teatro cittadino?
Il poster di “The Holy Bible” uno degli album più importanti della band gallese (anno 1994) troneggiava nelle vetrine della nuova location della Tower Records dublinese.
L’album, come da tradizione, è stato fatto uscire in una lussuosa edition deluxe, comprendente anche l’ultimo concerto con Richey Edwards, il chitarrista misteriosamente scomparso nel 1995, quando prelevò del cash, parcheggiò la sua macchina e fece perdere le sue tracce.
Il tutto alla viglia del loro tour americano.
Succede una domenica pomeriggio, a Roma.
Succede quando il buio è già sceso, anticipando la notte che arriverà tra qualche ora, trasformando le stradine più interne del centro in vicoli illuminati da tenui luci giallognole.
Siamo in un posto che sembra distante mille miglia dal flusso incessante di turisti che percorrono la via dei Fori imperiali, vicino al Colosseo: ci troviamo all’interno di una piccola libreria nonché casa editrice, le Edizioni Empirìa di Via Baccina.
Qui persone di età e provenienza geografica diversissime si riuniscono per uno spettacolo che ha il sapore di un tempo antico perduto, riportato a noi dalla passione di musicisti che rendono nuove ed attuali antiche tradizioni di canto popolare.
Anche se in ritardo, ci occupiamo del Villa festival in quanto esso costituisce, soprattutto per la serietà organizzativa e l’ottima selezione dei musicisti, una delle rare occasioni che in Italia offrano la possibilità di assistere a concerti di ottima levatura per chi ama le sonorità oscure, dal neofolk alla dark wave, al dark ambient, al neoclassical ed all’industrial.
Le luci si abbassano Jack saluta e ringrazia ma, la gente resta lì ad acclamarlo ed attende i bis che non tarderanno ad arrivare.
Ancora Tu, brano del compianto Lucio Battisti che Jack re-interpreta spesso suo nei suoi live, una canzone molto speciale e molto bella che suggella il suo patto con il pubblico italiano.
Che quello di lunedì sera all’Atlantico di Roma fosse un evento da ricordare, lo si capiva già dalla fila per entrare, con tutto il pubblico diligentemente in attesa in un orario in cui spesso a Roma si comincia solo a pensare di prendere un aperitivo prima del concerto.
La lunga fila mi ha permesso di osservare con calma gli stand con le magliette, in vendita ancora tantissime t-shirts degli Smiths, e si fa fatica a pensare che in realtà gli Smiths non esistono più da ben 27 anni. L’affetto e l’interesse per loro è ancora fortissimo.
Alle 20.30 finisco di fare la fila e sono dentro all'Atlantico. È un locale dove si sta in piedi, non ci sono posti a sedere numerati. Ad occhio e croce, sotto al palco ci sono già moltissime persone. Non c'è possibilità di andare più avanti a meno di sgomitare e con il caldo che fa dentro non è un’idea che mi attrae particolarmente. Sento una ragazza dietro di me che si rivolge a un amico: "Ti rendi conto che tra poco lo vediamo???!!!". E l’emozione sale anche per me, che dal vivo l’ho già visto diverse volte. Ma ogni volta è come se fosse la prima.
La sala è stracolma e Jake quasi a fatica si appropria del suo spazio. Si respira aria di casa, familiarità, è come se Jake fosse parte della nostra famiglia, un cugino che è tornato da vari giri per il mondo e ci racconta cosa ha visto, e cosa sta facendo, rimettendoci a paro con la sua assenza.
Jake imbraccia il suo sax e visto che oggi è l’11 settembre, fa risuonare una “Amazing Grace” commovente.
Siamo tutti seduti attorno a lui, come un forte abbraccio, e lui ricambia con la sua voce bassa, emozionata.