La visione di Cratta è sorprendente, come lo è l’eclettismo artistico del talentuoso Fausto Romano che, in poco tempo, ho visto calarsi con estrema disinvoltura nel ruolo dello scrittore, del performer teatrale e cinematografico, e in quello del regista.
La messinscena, arricchita dall’impeccabile fotografia di Francesco Di Pierro e dalle bellissime musiche di Cesare Dell’Anna insieme a Opa Cupa, costringe lo spettatore a immergersi in una storia senza tempo, e a seguire il filo delle immagini tracciato dalla macchina da presa. Immagini che viaggiano parallele alle storie dei personaggi e che, nello stesso tempo, riecheggiano il cinema di Tati, Keaton e Chaplin.
L’azione si svolge all’interno di una stanza di un albergo di lusso, in un paese di provincia dell’Italia centrale, dov’è riunito il movimento giovanile di un partito politico. Quattro ragazzi rampanti, Alex (Luigi Pisani), Simone (Antonio Monsellato), Arturo (Andrea Bizzarri) e Claudia (Guenda Goria), si rivedono in occasione dell’elezione del nuovo segretario giovanile. A movimentare la notte che precede il congresso, si uniscono al quartetto, la cameriera Stella (Giulia Rupi) e l’amico d’infanzia Giulio (Tommaso Cardarelli). Denominatore comune dei sei giovani la smania di potere che non sembra essere per loro niente di più o di diverso dello status symbol del telefonino, il sesso, la droga e la politica nella sua declinazione più bieca. Tutto è gioco per questi “sgomitatori” sociali, completamente amorali e pronti a calpestare chiunque pur di arrivare primi
Quando si spengono le luci siamo subiti trasportati in una festa per i trenta anni di Marco.
Marco raccoglie attorno a se i suoi cari amici (Malvina, Federico, Chiara, Alessandro, Cristina e Matteo). Ma l’atmosfera di balli e promiscuità viene improvvisamente spezzata brutalmente dalla confessione del festeggiato. Si, perché Marco rivela che ha un cancro ai polmoni. Il tutto in un atmosfera di gioia appunto, musica e sigarette consumate una dietro un’altra.
Ma Marco non vuole tristezza o sgomento, e chiede fortemente ai suoi amici di costruire assieme a lui una barca da portare a largo sul mare.
Al Teatro della Cometa di Roma è in scena, fino al 19 febbraio, Moms! Il primo varietà sulla maternità. La Compagnia è quella dei Tacchi Misti, composta da Carla Ferraro, Valentina Martino Ghiglia, Laura Mazzi e Silvia Siravo. Lo spettacolo, pluripremiato negli Stati Uniti e in Canada, è per la prima volta in Italia, con la regia di Ferdinando Ceriani, ed è tratto dalla commedia Mom’s the word (questo è il titolo originale) di Jill Daum, Linda Carson, Alison Kelly, Barbara Pollard, Robin Nichol e Deborah Williams.
Le interpreti, tutte donne, affrontano, in salsa agrodolce, quelle che sono le estasi e le agonie legate all’essere genitori oggi. Tutto ruota intorno a pannolini, notti insonni, pappette, biberon, mariti alla disperata ricerca di un momento di intimità, frustrazioni, ma soprattutto tanto, tanto amore per i propri “mostriciattoli”. Le quattro stressantissime mamme danno voce, corpo e anima a un intreccio di racconti e aneddoti molto divertenti su uno dei miracoli più belli della vita: la maternità e la gestione quotidiana, tutt’altro che semplice, della medesima.
Di nuovo attiva sul fronte discografico e live ecco che incontro ancora Erica Romeo, cara amica di Slowcult. Un incontro molto interessante per un’artista di grande qualità e molto poco italiana come approccio sia mentale che di suono. Una strada che l’ha portata da essere una folk singer a un’elegante cantante che si muove su suoni molto raffinati e avvolgenti. Ecco l’intervista per Slowcult!
Francesca Romana Fabris è una cantautrice che vive tra l’Italia e l’Inghilterra ormai da 8 anni, con al suo attivo 4 album, due di musica tradizionale e 2 di musica originale, sue canzoni in uno stile tra il folk e il jazz. Dopo averci condiviso il palco anche per l’evento di Slowcult “Musica in Emergenza” per raccogliere fondi per le popolazioni colpite dal terremoto ecco che l’incontriamo per farci raccontare di lei e della sua musica
Si può ancora dire qualcosa sulla Rivoluzione Industriale e sull’ avvento di Internet di quanto si è mai detto finora? Si può aggiungere qualcosa sul nostro vissuto cosi immerso nella tecnologia che è ormai predominante e attiva in qualsiasi sfera del nostro percorso umano? Si può ancora trattare di futuro ora che lo stiamo vivendo quel futuro che è arrivato a grandi passi e ci travolge e ci fa vivere in una bolla hi tech complessa, totalizzante e che ci fa facogitare tutto cosi velocemente?
La risposta è Si e la risposta è il nuovo documentario di Warner Herzog “Lo and Behold: Reveries of the Connected World”