David LaChapelle. Dopo il diluvio. Roma, Palazzo delle Esposizioni. 30 aprile, 13 settembre 2015
Rinnegato l’impero dei consumi al cospetto di Michelangelo e del classicismo, approda al Palazzo delle Esposizioni di Roma la mostra “After the Deluge” dell’artista americano David LaChapelle. Fotografo di razza, scovato a soli 17 anni da Warhol che lo lancia nello showbiz grazie a collaborazioni su Interview, si fa largo tramite uno stile iperrealistico unico e dalle forti connotazioni espressive come la plasticità delle figure rappresentate, immerse in set dai colori saturati all’inverosimile. Sfogliare una rivista di moda e imbattersi in un suo ritratto è qualcosa di assolutamente unico, mai visto prima. Le tinte forti e i soggetti statuari, spesso in posizioni o atteggiamenti ambigui, non fanno l’occhiolino al lettore in maniera discreta e accattivante, ma lo colpiscono come uno schiaffo in pieno volto. L’attenzione intorno al lavoro di LaChapelle cresce in maniera esponenziale. Riscuote un successo planetario, collaborando con le più famose riviste di moda e incassando i complimenti di illustri colleghi, quali Richard Avedon ed Helmut Newton. Si trasforma sempre più in un artista a tutto tondo, dirigendo e relizzando anche documentari, spettacoli teatrali e videoclip. Nel 2006, durante una visita alla Cappella Sistina, viene folgorato dalla visione del “Diluvio Universale” di Michelangelo. Ne ripropone quindi una sua personalissima versione e da quel momento abbandona totalmente il lavoro commerciale per concentrarsi esclusivamente su ciò che sente di voler esprimere in questa sua nuova fase. Qualcosa non più destinata alle riviste patinate, bensì ai musei e alle gallerie, e che non è affatto un azzardo definire arte.
Il diluvio come spartiacque quindi tra ciò che LaChapelle è stato e ciò che è diventato. La mostra di Roma, visitabile dal 30 aprile al 13 settembre, si intitola infatti “After the Deluge” (dopo il diluvio) e presenta circa 150 opere, la maggior parte delle quali realizzate dal 2006 in poi sebbene sia presente anche una serie di lavori precedenti per poter permettere di avere una visione globale del lavoro di questo artista in una delle più grandi retrospettive a lui dedicate. Collegati al “Deluge”, la grande opera che apre la visita, troviamo anche “Awakened” “Cathedral Museum” e “Statue” tutte opere che si legano all’acqua intesa come elemento di distruzione e rinascita. Corpi fluttuanti senza spazio né tempo che man mano scompaiono dal centro della scena, lasciando il campo nei lavori successivi a scene di interni, nature morte, paesaggi fantastici, set post-industriali, il tutto accomunato da una sorta di visione onirica e allucinata. Oggetti simbolo del consumismo mimetizzati tra composizioni di fiori recisi in un contesto di duplice rappresentazione della condizione effimera dell’esistenza in “Earth laughs in Flowers”, così come fugaci sono la fama ed il potere quanto affascinante e perversa la caduta degli idoli rappresentati dai macabri scatti dei resti di effigi di personaggi famosi del museo delle cere di Dublino dopo un atto vandalico, che il fotografo è riuscito ad immortalare nella serie “Still Life”. Stazioni di rifornimento abbandonate all’interno di foreste pluviali come templi atzechi, osservate da una prospettiva futura in “Gas Stations” e città nucleari senza traccia alcuna di umanità in “Land Scape”. Vere e proprie metropoli nel deserto realizzate da squadre di scenografi di Hollywood che, con grande perizia artigianale, assemblano oggetti riciclati e collocano i plastici così ottenuti in panorami reali dove vengono poi ripresi dall’artista nelle tinte dell’alba e della notte creando una sorta di scintillante luna park, come mostra l’interessante documentario di backstage all’interno della mostra. E come già accennato presenti anche alcuni degli scatti più famosi dell’autore, precedenti il diluvio e raffiguranti “celebrities” del campo della moda, della musica e del cinema. Immagini cariche di pathos e anch’esse ispirate a opere classiche come le due pietas, una rappresentata da Courtney Love che soregge il “Cristo” Kurt Cobain stigmatizzato dai suoi eccessi e l’altra con Michael Jackson esanime tra le braccia di un Gesù New Age. Spiritualità che trapela anche nella serie in cui il Cristo si materializza tra gli abissi dell’umanità in mezzo a gangsta e prostitute, sdoganado definitivamente LaChapelle dal ghetto delle riviste patinate e aprendogli le strade di musei e gallerie.
Claudia Giacinti