Roma Palazzo delle Esposizioni 23 ottobre 2009- 14 febbraio 2010
“Perche’ l’arte deve essere statica? Se osservi un’opera astratta, che sia una scultura o un quadro, vedi un’intrigante composizione di piani, sfere e nuclei che non hanno senso. Sarebbe perfetto, ma e’ pur sempre arte statica. Il passo successivo nella scultura e’ il movimento” (Alexander Calder, 1932)
Una mostra da non perdere questa che si sta tenendo al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Sia perché è la prima volta che la capitale ospita le opere di questo artista rivoluzionario dell arte moderna che proviene dalla Pennsylvania, sia perché è una mostra vivace, che ti pone delle domande sull uso dello spazio divertendo il frequentatore tra sculture in fil di ferro (wire sculptures), piccoli bronzi, dipinti e installazioni.
Nella mostra possiamo osservare piu di cento opere provenienti dalla fondazione Calder, dal Whitney Museum e dal Moma di New York, ed è veramente un percorso esaustivo della sua arte.
Ad aprire il percorso sono le sue sculture testimonianza del suo primo periodo, tra cui “Doug and Duck” del 1909 compiuta a soli 11 anni, e i suoi dipinti di animali. A testimoniare invece il suo periodo parigino e la sua frequentazione con gli artisti di avanguardia (siamo negli anni ’20) sono le sculture in fil di ferro di cui accennavo prima, nelle quali Calder delineava le masse suggerendo il volume solamente con fil di ferro a fare da padrone qua sono le figure di acrobati, animali e contorsionisti (“Hercules and lion”, “Circus scene”). Ma a rubare la scena è il capolavoro della sua wire sculpture: “Romulus e Remus” del 1928, che proviene dal Guggenheim di New York ed esposta proprio a Roma per la prima volta. Come affermava Calder «il fil di ferro, o qualcosa da torcere, o rompere, o piegare, è il mezzo più facile per esprimermi».
Andando avanti nel percorso possiamo osservare anche uno dei capisaldi dell arte di Calder: l’invenzione del Mobile, le sculture in movimento. Essendo forme che possono giostrare a piacimento nello spazio muovendosi ciclacamente i mobile possono esser anche scendere dal soffitto come “Small Sphere and Heavy Sphere”. I Mobile sono intesi da Calder come sfide alla staticità e alla forza di gravità e a riprova di questo molto suggestivo è l’enorme mobile (il diametro supera gli otto metri) permanentemente collocato all’interno dell’aeroporto di Pittsburgh qua concesso in prestito in via eccezionale per l’Esposizione. “White Panel” e “Red Panel”, posizionati uno di spalle all altro, giocano invece con sfondi colorati e oggetti astratti.
Mentre i Mobile sono forme in movimento, gli Stabile sono forme statiche, colorate e enormi come testimoniano le gigantografie esposte nell androne del Palazzo delle Esposizioni. Nelle teche sottostanti invece possiamo invece osservare le miniature degli stessi. In Italia è presente lo Stabile di Calder “Teodolapio”, alta 18 metri realizzata nel 1962 nel piazzale della Stazione di Spoleto in occasione della mostra “Sculture nella Città” per il festival dei Due Mondi.
La mostra fotografica di Ugo Mulas esposta al piano superiore è un eccezionale documentazione fotografica del lavoro di Calder nel suo laboratorio, una testimonianza viva della sua visione di spazio e del suo giocare con i materiali, dalle foto traspare un uomo gioioso, innamorato della sua arte e anche una persona scherzosa, sorridente e appunto visionario.
Chiudo con le parole di Sartre, grande estimatore di Calder: “Calder non suggerisce nulla: cattura dei movimenti reali, vivi, e li plasma. I suoi mobile non significano nulla, non rimandano a nulla se non a se stessi: esistono e basta, sono assoluti. Del mare Valéry usava dire che ricomincia di nuovo, sempre nuovo. Un oggetto di Calder è come il mare. E’ come un motivo di jazz, unico ed effimero, come il cielo, come l’alba. Se vi è sfuggito, vi è sfuggito per sempre”.
Recensione di Fabrizio Fontanelli