Disobbedienza di Naomi Aldermann
Nella scelta di un libro mi guida l’istinto del lettore appassionato. Come un fiore per l’insetto, la forma, il colore, l’odore, così per me il nero su bianco. Il titolo o un brano letto a caso mi dicono se il libro mi nutrirà. Se sfamerà la mia incessante curiosità, la voglia di conoscere, di riconoscermi nelle storie e nelle esperienze di altri diversi da me.
Così curiosando in una piccola libreria silenziosa e accogliente mi attrae, questa volta, un titolo in nero: “Disobbedienza”.
Opera prima di Naomi Aldermann, nata a Londra nel 1974, cresciuta nella comunità ebraica ortodossa di Hendon dove è tornata a vivere dopo alcuni anni a New York. 1974! Cosa avrà da insegnarmi, penso, una scrittrice così giovane? Sono tentato di posare il libro, poi supero il pregiudizio e la presunzione della mia età matura. Apro il libro a caso e leggo.
“Uno dei nostri saggi rimproverò una donna che aveva diffuso un pettegolezzo. Le diede un cuscino e le ordinò di portarlo in cima all’edificio più alto della città da dove scuotere le piume ai quattro venti. La donna ubbidì. Dopodichè il saggio le disse: ‘adesso vai e raccogli tutte quelle piume che hai sparpagliato’. La donna allora protestò che quel compito era impossibile. ‘Ah’ disse il saggio ‘eppure è molto più facile che raccogliere le storie che hai raccontato’ ”.
I nostri saggi ci mettono in guardia rispetto ai pericoli della maldicenza, lashon hara, che lettereralmente significa malalingua. E così come è proibito diffondere storie false così pure è proibito dar loro ascolto perchè colui che le ascolta, come colui che le diffonde, commette peccato contro il nome del Signore. Inoltre è proibito ascoltare qualsiasi storia che, sia pur vera, possa portarci a vedere una persona con occhio meno favorevole.
Lashon hara! Nel pronunciarla questa parola produce un suono lungo e basso come un vento caldo che avvolge e inaridisce ciò che incontra. E nel ripeterla, laicamente, avverto una sensazione di disagio. Qualcosa si agita nella mia coscienza. Chiudo il libro e lo compro.
La lettura non mi delude. L’autrice del romanzo (premiato con il prestigioso Orange Prize for New Writers) descrive con sicurezza ed efficacia narrativa la storia di Ronit e la sua ‘diversità’. Ne tratteggia con sensibilità psicologica il carattere ribelle, l’impossibilità di essere ‘normale’, il conflitto che la oppone al padre rabbino e alla comunità ortodossa di cui lo stesso padre è guida spirituale. Disobbedienza quindi ai rigori e ai moralismi di un microcosmo intransigente. Ronit si allontana da ciò che la respinge per cercare altrove la sua non-identità. Anni dopo, la morte del padre, la costringe a tornare là dove il tempo si è fermato. Dove tutto sembra immutato e immutabile.
Recensione by Alberto
BS”D
Tutto vero, riguardo al divieto nell’Ebraismo di commettere maldicenza o delazione. Il libro guida a questo riguardo si chiama “Leggi della Maldicenza”, o Chafetz Chaim.
Mi consenta comunque una precisazione: la Lashon Hara non è il divieto di “diffondere storie false” e di “dar loro ascolto”. Quel divieto si chiama “Motzì Shem Ra” ed è ancora più grave. Le leggi della maldicenza, invece, la vietano perfino quando le cose riferite sono vere, a meno che non le si raccontino a fin di bene (per evitare un inganno o un danno e così via). E bisogna stare attenti a interpretare bene le proprie intenzioni, perché è difficile essere oggettivi.
Che il Signore ci aiuti a non danneggiare mai il prossimo, nemmeno con la lingua.