Regia di Pedro Almodóvar. Con Penelope Cruz, Lluís Homar, Blanca Portillo, José Luis Gómez, Rubén Ochandiano.Tamar Novas, Marta Aledo, Agustin Almodóvar, Enrique Aparicio, Yuyi Beringola, Javier Coll, Juan Bautista Cucarella, Sabine Daigeler, Sergio Díaz, Lola Dueñas – durata 129 min. – Spagna 2009
Il regista Mateo Blanco, a causa di un incidente che lo ha reso non vedente, decide di troncare con il proprio passato, di scegliere un nuovo nome, Harry Caine (ma pronunciandolo sembra ‘Hurricane’, uragano) e di seguitare a lavorare nel cinema solamente come sceneggiatore. Diego, il suo giovane aiutante, lo costringe a raccontargli gli avvenimenti che hanno preceduto l’incidente a partire dalla sua travolgente storia d’amore con l’attrice Lena ed il racconto a ritroso dell’ex regista provocherà in Juditt, fedele segretaria di produzione di Mateo/Harry nonchè madre di Diego, a rivelare retroscena e confessare segreti sepolti da oltre 14 anni.
Un thriller, un film nel film, un melodramma in flashback, un nuovo monumento alla Donna, un altro labirinto di passioni nel quale perdersi: il nuovo film del sempre grande regista spagnolo vuole essere po’ di tutte queste cose, senza però riuscire fino in fondo a convincere. Vorrebbe essere il suo 8 e 1/2 senza le visioni oniriche di Fellini, ci porta in atmosfere ed ambientazioni alla Brian De Palma, senza la tensione e le sue acrobazie cinematografiche, potrebbe semplicemente essere un nuovo film di Almodóvar, ma senza regalarci le emozioni o l’ironia dei suoi momenti cinematograficamente più felici.
Anche una pellicola ‘minore’ del regista della Mancha merita di essere vista, scatena sempre emozioni superiori alla media dei film attualmente in programmazione e suscita dibattiti ed interesse tra gli spettatori; stavolta non tutto convince, le perfette sceneggiature di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, di Tutto su mia madre e Volver erano senz’altro tutta un’altra storia, ma Almodóvar è sempre Almodóvar, i colpi di classe e le zampate geniali ci sono sempre, l’utilizzo della macchina da presa, delle luci, dei colori è sempre quello di un superbo cineasta . Mezza stella in più, poi, il film la meriterebbe solo per la presenza di una sfolgorante Penelope Cruz: ogni scena viene esaltata dalla sua presenza, ogni situazione filmica acquista colore e calore grazie alla sua bellezza, ogni metro di pellicola accresce il piacere del’occhio e dello spirito. Nè Audrey Hepburn, nè Ingrid Bergman, nè Marilyn, solo Penelope. Non crediamo di esagerare nel voler paragonare l’alchimia particolare tra la Cruz ed il ‘suo’ Almodóvar in questo film all’altrettanto particolare stato di grazia in cui François Truffaut e Fanny Ardant girarono ‘Finalmente Domenica’: in tutti e due i casi la bellezza delle protagoniste aumenta col trascorrere dei minuti, ogni nuova inquadratura aggiunge fascino a quella precedente e la sensazione che si prova alla fine del film è quella di un innamorato che vede allontanarsi il treno che porta via la propria donna.
Recensione di Fabrizio
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