Red Zone – 22 miglia di fuoco, Scritto da Lea Carpenter, Diretto da Peter Berg. Con Mark Wahlberg, John Malkovich, Iko Uwais Lauren Cohan, Ronda Rousey. Produzione: USA, 2018. Durata: 94’.
Di stanza in Indonesia, all’agente della CIA James Silva (Mark Wahlberg) e al suo team di operativi è affidato il compito di proteggere Li Noor (Iko Uwais), un poliziotto delle unità speciali locali che si è consegnato di sua spontanea volontà all’ambasciata americana, autoaccusandosi di spionaggio. In realtà, Noor chiede asilo politico negli Stati Uniti e, in cambio, vuole consegnare il codice di un file criptato che indica le posizioni di vari carichi di cesio che Silva e i suoi cercano da tempo. Dopo un fallito assassinio ai danni del poliziotto all’interno del consolato, Silva e la sua squadra devono scortare l’informatore fino al punto di estrazione. Ma il tragitto di ventidue miglia si trasforma, ben presto, in un vero e proprio campo di battaglia per mano di poliziotti corrotti, commando di paramilitari e killer. Ma Silva e i suoi colleghi vendono cara la pelle.
Dal 2013 ad oggi Peter Berg, regista della black comedy cult Cose molto cattive, sembra aver finalmente imboccato la strada giusta, ovvero quella di una regia più ponderata nelle scelte tecniche e – soprattutto – più matura a livello visivo. Se Lone Survivor è stato il battesimo del fuoco per Berg verso lidi permeati da estremo realismo e un’elevata dose di crudezza, mentre Boston – Caccia all’uomo rappresenta un ulteriore step di questo cammino, Red Zone – 22 miglia di fuoco (Mile 22, 2018) è la conferma ultima delle ottime capacità del regista di raccontare e mettere in scena storie d’azione ad alto tasso di adrenalina. Certo, Red Zone (anche se l’adattamento del titolo dell’edizione italiana lascia a desiderare) potrebbe sembrare, a primo acchito, un prodotto originale al 100% eppure, davanti lo sguardo attento di ogni cinefilo o amante del genere action, non mancheranno le analogie nonché le similitudini con The Raid e il suo sequel The Raid 2, entrambi diretti da Gareth Evans. E tale “sensazione” è confermata dalla presenza dell’attore/artista marziale Iko Uwais, protagonista dei due film di Evans.
Nonostante le influenze provenienti dalle fonti di ispirazione, Peter Berg è riuscito a mettere in piedi un serrato action-thriller senza sbavature che in soli novantaquattro minuti di durata riesce ad inchiodare lo spettatore alla poltrona trascinandolo, insieme alla macchina da presa, dentro le guerriglie urbane del XXI secolo: difatti, Red Zone non si perde in inutili chiacchiere e, dopo un incipit in medias res e la presentazione di tutti i personaggi, dà fuoco alle polveri concatenando, una dietro l’altra, furibonde e adrenaliniche sequenze d’azione (quasi in tempo reale) a base di lotte a colpi di close quarters combat, inseguimenti, esplosioni, imboscate, letali sparatorie per strada e incursioni aeree tramite droni armati; tutto questo condito da un’abbondante dose di violenza brutale fatta di headshots, ossa spezzate, accoltellamenti e ferite sanguinolente. Ed è proprio nella rappresentazione della violenza, che a molti potrebbe sembrare controversa, che Berg dà il meglio di sé, creando una sorta di estetismo dell’iperrealismo soffermando la mdp sulle ferite aperte, i fori di proiettile e gli arti maciullati così come ha già fatto in Lone Survivor e in Boston – Caccia all’uomo. Non una scelta autocompiacente questa, né tantomeno voyeuristica ma, semmai, volta a dimostrare come i suoi personaggi siano tutto fuorché eroi immortali, bensì uomini e donne fatti/e di carne, sangue, ossa, muscoli e una vita che, in un attimo, può essere spezzata.
In questo Red Zone traspira sì un certo eroismo sanguinoso di stampo johnwooiano che, tra uno scambio di proiettili e un altro di cazzotti, trova anche il tempo di approfondire il background psicologico, esistenziale ed intimo dei personaggi, in particolare quello di James Silva (interpretato da un Wahlberg – qui alla sua quarta collaborazione con il regista – impeccabile nel ruolo), team leader iperattivo, altamente loquace e addestrato come una vera war machine e quello di Alice (Lauren Cohan), agente operativo che, a distanza di migliaia di chilometri da casa, cerca di essere una madre amorevole anche se vessata dal suo divorzio. Tra momenti introspettivi e altri di pura adrenalina, Red Zone si conferma come riuscito action dal ritmo serrato e senza un attimo di respiro: di certo non un capolavoro nel suo genere ma neanche un’opera che passa inosservata agli occhi degli aficionados dell’azione più totale. È un film che non annoia, questo nuovo lavoro di Peter Berg e che, quando sembra aver ormai detto e mostrato tutto, lascia spazio a un imprevedibile coup de théâtre a favore di un potenziale capitolo II.
recensione di Francesco Grano