Incontriamo per i lettori di Slowcult Annalisa De Feo, compositrice, cantante e polistrumentista, che assieme al batterista e percussionista Marco Libanori propone con il progetto DOS – Duo Onirico Sonoro una interessantissima sintesi tra improvvisazione e sperimentazione. Il canto di Annalisa, in un linguaggio inventato che lei stessa definisce grammelot, rievocando l’arte di Dario Fo, si immerge nella musica in una sorta di stream of consciousness affascinante e assai poco consueto per il panorama nostrano: non stupisce che Annalisa abbia frequentato molto i palchi esteri, da New York a Berlino. Dopo il primo album, uscito nel 2016, il duo ha appena pubblicato un nuovo lavoro, Jouer et Danser, che verrà presentato all’Apollo 11 di Roma il 24 giugno: nel corso della serata verrà proiettato e presentato dal regista Renato Chiocca il videoclip della title track, realizzato con la partecipazione del gruppo ArteMigrante del centro residenziale per minori della cooperativa La Pergola, coordinato da Lavinia Bianchi e già in anteprima su La Repubblica.it.
Annalisa, puoi parlarci di questo vostro nuovo lavoro? Cosa rappresenta nel percorso del duo?
Jouer et danser è un disco in cui il duo prende realmente vita. Gli strumenti acustici ed elettronici si fondono cercando di generare un’identità di suono, variegata ma unica nel suo genere. E’ un disco dove il grammelot del primo album cede il passo in alcuni brani al francese, al tedesco e all’italiano, raggiungendo così l’elemento onirico anche con altre suggestioni. E’ un disco in cui ci apriamo ad altri strumenti, tra i nostri preferiti, come il clarinetto basso e il trombone: la scelta di introdurre nuovi elementi in alcuni brani dà un respiro più ampio e dona uno slancio in più all’ascolto.
Come è nato questo interessante progetto e perché hai scelto proprio la batteria per affiancare il tuo pianoforte?
Il progetto è nato in assoluto ascolto di me stessa e di quello che ricercavo a livello musicale. Sentivo la necessità di trovare la giusta espressione, qualcosa che artisticamente mi appartenesse realmente. Sin dai tempi del conservatorio maturavo l’idea del duo pianoforte e percussioni. Ricordo che rimasi affascinata, da adolescente, da un concerto di musica classica con questa formazione. Durante poi il percorso di studi ho toccato con mano il repertorio classico suonando opere di autori come Creston e Mayuzumi per piano e marimba, piano e vibrafono ecc… quelle sonorità mi divertivano particolarmente. A vent’anni da quei momenti e passando per altre svariate formazioni e stili, sono ritornata all’idea originaria, ma con tutto un altro tipo di approccio, che mi ha portato a sperimentare un linguaggio personale e in continua evoluzione.
Come ti sei avvicinata alla musica?
L’ approccio alla musica è venuto in maniera del tutto spontanea e naturale. Nella mia casa d’infanzia c’era un pianoforte che da subito diventò il mio “migliore amico”; mia zia in quel periodo stava per diplomarsi e i miei genitori, anche loro, avevano studiato per qualche anno da ragazzi. Si respirava aria di musica.
Qual è la tua opinione sulla scena musicale italiana di questo periodo?
Non ho mai seguito granché la scena musicale italiana, ahimè, però posso dire che da qualche anno mi capita di interessarmene maggiormente. Prima di tutto perché essendo anche insegnante, devo assolutamente essere al passo con i tempi per “non deludere” i miei ragazzi così da poter conversare con loro di questo o quel cantante, o del loro gruppo preferito. Trovo che ci siano autori che hanno delle belle intuizioni, altri un gran talento, altri ancora credo siano solo delle trovate di mercato e nient’altro. Personalmente mi piacciono sempre Daniele Silvestri, Cristina Donà, Caparezza.
Vivi a Latina e da qualche tempo gestisci il CuCù Cucina e Cultura, un luogo dove l’ottima cucina viene accompagnata da eventi live che spaziano dal jazz ad altri generi musicali. Come sta andando questa impresa?
La passione di FranZ Damiani, mio compagno nella vita e ottimo musicista, è la colonna portante di tutta l’impresa. Io mi limito ad organizzare la parte musicale cercando di donare al nostro pubblico un’offerta musicale diversa ma pur sempre fruibile. In alcuni periodi la formula che abbiamo scelto sembra davvero vincente, in altri un po’ meno. ma questo ha a che fare con questioni poco prevedibili.La nota costante è ad ogni modo l’ entusiasmo con cui l’utenza risponde alla cucina di FranZ!
Marco, utilizzi un set particolare per la tua batteria in questo progetto?
Mi piace definirlo con una parola, “Percuteria”: un assemblaggio tra batteria classica, percussioni convenzionali e non (scatole di latta, pentola wok, metalli di varie dimensioni e zucca africana) che mi permette di sperimentare svariati timbri e sonorità. L’uso dei pads elettronici ha un ruolo importante nel mio drumset: oltre a potenziare il tessuto ritmico, arricchisce le possibilità di arrangiamento.
Quali sono i batteristi che più ti hanno ispirato nel tuo percorso?
Prima ancora di citare quali batteristi e percussionisti mi hanno ispirato, è importante per me dire quali musicisti/compositori sono stati fonte d’ispirazione per la formazione del mio pensiero musicale. Stravinskij, Frank Zappa e John Cage hanno sicuramente influenzato il mio percorso durante gli anni di studio in conservatorio, e poi successivamente fino ad oggi. Sicuramente non posso non citare, tra i batteristi, Ringo Starr, John Bonham, Elvin Jones e Stewart Copeland, e i percussionisti Trilok Gurtu e Nanà Vasconcelos, per avermi trasmesso il loro modo di concepire la batteria e le percussioni, come strumento “ritmico/melodico” con fraseggi di grande musicalità.
Intervista di Ludovica Valori